Negli Anni Settanta era una gioia arrivare a Londra, Una fiesta mobile come scriveva Hemingway, dei primi Anni Trenta, di Parigi o della Spagna.  Fermarsi dei mesi, partire e ritornarci semmai da Amsterdam o dal Messico.   Interiormente ballavano stati d’animo allo stesso tempo semplici ed estremi: incontri, delusioni, scoperte, dubbi erano tutti irradiati da entusiasmo e ottimismo.  I Beatles si erano sciolti da qualche anno, ma c’erano i Rolling Stones, con i Genesis c’era ancora Peter Gabriel e i Pink Floyd avevano sfornato un disco come The Dark Side of the Moon.  C’erano gli squatters dove si andava a dormire e a vivere per qualche mese prima che un tribunale stabilisse che la casa occupata doveva essere restituita al leggittimo proprietario ( oggi è illegale e si finisce subito in carcere ), e, quando capitava, si restava l’ultima sera – prima che arrivasse la polizia a sgomberare – in una festa d’addio un po’ malinconica, un po’ eccitata, con molte birre e un po’ di sesso randagio.  Qualcuno scriveva una poesia d’addio su una parete e tutti restavano a guardarla come fosse un testamento collettivo.  Dieci, venti persone, che si erano conosciute e avevano vissuto assieme e condiviso tutto – anche una scatola per gatti – per qualche mese si perdevano di vista e come coriandoli in un carnevale volavano via cadendo da qualche altra parte; qualcuno tornava in Irlanda, qualcun altro in Francia o in Germania o in Italia, qualcun altro davanti ad un giudice.  Il giorno dopo c’era sempre qualche compagno irlandese o spagnolo o portoghese pronto a dirti di una nuova casa da occupare in un altro quartiere. Notting Hill Gate, Bethnal Green, Finsbury Park, Tufnell Park…  sulla Central line o sulla Northen: linea rossa, linea nera.  C’era un vecchio rivoluzionario della Guerra Civile Spagnola, Miguel Garcia, che viveva in esilio nel quartiere di Finsbury Alta: dopo essere stato sul punto di essere garrotato dal boia Franco negli Anni Quaranta, gli era stata ridotta la condanna all’ergastolo e infine espulso e mandato in esilio alla fine dei Sessanta.  Gestiva un Centro Iberico Libertarian International in Haverstock Hill e redigeva il giornale Black Flag, per la Croce Nera Anarchica: il posto era un luogo cosmopolita, una calamita per tutti gli anarchici, i rivoluzionari, gli uomini e le donne contro, di tutto il mondo che passavano di là… una sera potevi mangiare una zuppa povera con Miguel e Angela, un’altra col ciclostile stampare il giornale e un’altra trovarti a bere del vino greco in compagnia del militante e storico spagnolo José Peirats o con Emilienne Durruti, compagna di Buenaventura, capo della Columna de Hierro sul fronte di Madrid nel 1937, prima che fosse ucciso a tradimento.   E potevi trovare scrittori che avevano pubblicato il loro primo romanzo, qualche ragazzo che era uscito da un turno in sala di registrazione o una ragazza che faceva la cameriera ed era la più felice di tutti perché aveva ricevuto cinque sterline di mancia da un cliente facoltoso dell’albergo.  E nei fine settimana c’erano sempre feste alcoliche e di altro sballo in cui andare e passare due giorni ininterrotti, e se era troppo, o se ti stufavi, c’era sempre il mercato di Camden Town dove passare una giornata intera o quello di Portobello road dove di sabato c’erano gli italiani che vendevano il quotidiano Lotta Continua vecchio di alcuni giorni ( non esistevano Internet, i telefonini o gli smartphone e quindi il mondo da Londra era lontano e sconosciuto, come da qualsiasi altra parte d’altronde ).   E un mercoledì ci poteva essere il concerto di Frank Zappa, il venerdì dei Weather Report al Victoria Theatre e ad Hyde Park potevi ascoltare i Queen, e capitava di prepararsi a partire per andare a un concerto dei Pink Floyd all’Empire Pool Wembley nel Middlesex, in cui tutto poteva avvenire come a Woodstock o all’isola di Wight o al Parco Lambro a Milano: ma sempre in un tripudio collettivo.  E i pub, allora, aprivano alle sette di sera, erano sempre pieni, e si ascoltava musica jazz il giovedì, punk il venerdì e qualche volta fuori potevi vedere uno skinhead preso a calci da un punk o un punk da un compagno spagnolo ubriaco, e chiacchieravi con qualcuno che poi ti diceva il suo nome e quel nome poteva essere Jean-Luc Ponty o quello di una ricercata tedesca, e nella folla davanti ad un pub ti sembrava di riconoscere Jimmy Page con il suo cappotto nero: erano i tempi in cui i suoi fans andavano ai suoi concerti per pogare, fumare e prendersi a bottigliate di birra in testa.  E poi c’era il mitico Marquee Club da poco trasferitosi a Wardour Street.  E c’era il sesso, a volte l’amore, un po’ di droga e molte visioni libere come il futuro.  Quando c’era bisogno di recuperare energie, ma era raro allora, c’era sempre da andare a vedere i film di Paul Morrissey in un cinema notturno o “ Tommy “ e “ Stati di allucinazione “ di Ken Russell o “ Quadropfenia “ di Frank Roddam.  Poche volte si andava al British Museum o alla National Gallery ma si andavano a vedere i graffiti di Bansky ( oggi c’è Google Maps che da’ un percorso per vedere la sua arte ) e c’erano anche graffiti di gente che si firmava Vhils, Stik, ROA.  E poi c’era Londra sullo sfondo e qualche volta nella carne, la Londra di South Kensington, di Angel ancora Bronx, di Covent Garden.  Ogni posto era una miniera, bastava non avere fretta e lasciarsi andare, anche se Piccadilly restava una piazza brutta e anonima, Leicester Square poteva andarsene alla malora e Trafalgar Square era una delle piazze più insignificanti d’Europa, con la colonna di Nelson e l’entrata gaglioffa della National Gallery.  Adesso – per coloro che possono ricordare – fate uno sforzo e pensate a Milano, a Roma o a Napoli di quegli anni, senza multietnicità, senza ristoranti indiani o latinoamericani, senza musica e con pochi concerti solo d’estate, senza ragazzacce che erano già liberate senza saperlo e riflettete su come poteva essere fantasmagorica, una disneyland per adulti, quella città di mille colori, dalle cento lingue, dai simili punti di vista umani e politici.

Ora non c’è più nulla di tutto quello, o almeno, quando ci si torna, non c’è il tempo di non avere fretta, è più difficile lasciarsi andare; e non si hanno più i ventanni di Rimbaud o di Ferrè.  Dove c’erano alcuni pub, adesso c’è Pret à Manger, tramezzino e caffè americano a cinque sterline, Starbucks non lo puoi evitare come Costa.  E poi i soliti schifosi self service cinesi a prezzo fisso mentre il fish & chips è diventata roba da turisti e i pub scompaiono mentre quelli che restano sono poco affollati, non hanno musica e c’è il suono della solitudine come resa umana.  Oxford street sembra Via del Corso a Roma con i soliti H&M, Zara, Top Shop, Mango,  solo più grandi.  Certo è ancora piacevole passeggiare per Hyde Park o St James’ Park quando c’è il sole, per Tottenham Court Road, per Kensington, per Covent Garden; certo si passa una piacevole serata al Pacha a Victoria per sentire musica funky-house, o al Plan B ascoltando musica hip hop o al 606 Club per ascoltare jazz ma qui si mangia anche e quindi c’è contaminazione di due cose molto diverse.  Londra oggi è tornata ad essere una città come tante, per turisti, algida, confusionaria e con un clima freddo ( in tutti i sensi ).   In realtà, noi, con le città, abbiamo sempre avuto un rapporto come con un caro amico, ci si lascia e quando ci si incontra di nuovo si riprende, con lo stesso affetto la conversazione che avevamo interrotto; ma non come ci fosse un punto, più probabile un punto e virgola – come se non fosse passato che qualche istante -;  ci capita con Città del Messico, appena siamo tra lo Zocalo e Cinco de Mayo, ci capita con Delhi, appena ci siamo seduti a bere un chai a Paharganj, lo stesso avviene con Parigi, Berlino o Singapore: come capita ad un ragazzo che l’estate successiva torna nello stesso luogo di mare e gli basta un niente per ritrovare l’amica e gli amici dell’anno precedente, la spiaggia e il negozio di gelati.  Con Londra invece a noi capita ogni volta, in questi ultimi due decenni di dover iniziare sempre daccapo e rimanere in parte delusi e affaticati.  Vogliamo credere che la colpa di questa perdita è anche di quella persona che lady non era, forse nemmeno una signora, tantomeno di ferro forse di materiale più corporeo, un essere che è passato alla storia per essere stata amica di Pinochet, aver definito terrorista Mandela, aver tolto il latte ai bambini nelle mense, aver distrutto la classe operaia con disoccupazione e violenza e aver causato la morte di un po’ di ragazzi irlandesi lasciati morire di fame.   Tuttavia se non avete grandi aspettative di libertà, se non cercate chissà cosa, allora Londra è una città da visitare, minimo cinque giorni ininterrotti.  Cosa vedere ?  Ci sono guide, depliant e carta varia, tuttavia se volete…

Abbey road: Abbey Road è l’ultimo album in studio inciso dai Beatles, proprio nell’omonima strada.  Se ci andate troverete un quartiere borghese tranquillo, ma all’angolo ci sarà un bel  po’ di movimento, turisti giovani e vecchi attraversano in fila indiana le strisce pedonali per emulare i quattro ragazzi di Liverpool, come da foto del disco.

Bethnal green: subito dopo Liverpool street, tipico quartiere inglese con case basse, qualche pub piacevole e un piccolo mercato un po casuale.  Una della zone più multietniche di london.

Ma anche il British Museum.  Ma anche Brook Street luogo di pellegrinaggio da parte degli appassionati di Jimmy Hendrix che ha abitato al numero 23.  Ma anche il Big Ben.  Ma anche il Mercato di Borough.  Ma anche Brick Lane, dove vivono i bengalesi e si può mangiare ancora un buon curry.  Ma anche Buckingham Palace, dove vive una vecchietta che si fa chiamare Elisabetta che ha dei quadri di Rembrandt, Canaletto, Vermeer.

Coven Garden: il posto più turistico ma anche più bello del centro di Londra, qualche vecchia libreria, passanti all’ultima moda, favolosi bar, ristoranti un po’ troppo eleganti e negozi trendy ( sul tipo Le Marais a Parigi, ma molto di più ).

Ma anche il Camden Market.  Ma anche Chinatown.  Ma anche il Churchill Museum.

Dean Street: sopra il ristorante Quo Vadis ( buffo collegamento ) ha vissuto Carlo Marx con la sua famiglia.

Ma anche Downing Street, al numero 10, adesso ci abita un signore che si chiama David Cameron.  Ma anche il mercato turco di Dalston con le specialità gastronomiche.

Eaton Place: al numero 38 c’è il consolato italiano, torna utile per parecchie cose.

Ma anche Eltham Palace con la fantastica Courtauld House.

Fleet Street: era la via dei giornali prima che Murdoch li trasferisse, c’è una chiesetta nella cui cripta c’è la storia dell’industria della Stampa.

Golden Hinde: la riproduzione della celebe nave comandata da Sir Francis Drake che fece il giro del mondo.

Ma anche Greenwich e i suoi bei panorami

Hyde Park: uno dei parchi più grandi del centro e famoso per il suo Speakers’Corner.  Si può passeggiare, fare un pisolino sdraiati su un prato, vedere l’Holocaust Memorial o osservare il Serpentine Lake.

Ma anche il Loungelover a Hoxton con un cocktail bar fantastico e decadente.  Ma anche  Hight Holborn.  Ma anche House of Parliament.

Isle of Dogs: una penisola sulla costa settentrionale del Tamigi con il Mudchute Park & farm.

London Eye: la ruota panoramica più grande del mondo, in cui non andare nel fine settimana per le lunghissime code.

Ma anche Leicester Square e la zona di St Giles Hight.

Marylebone: uno dei più eleganti quartieri, con molti negozi ma anche con ottimi ristoranti, il solito museo delle cere di madame Tussaud’s, il London Planetarium ( carissimo ) e il Parco di Regent’s.

Notting Hill Gate: un quartiere tranquillo ed elegante dove passerete sicuramente per andare al mercato di Portobello Road e se vi trovate alla fine di agosto c’è il Carnevale Caraibico un evento che dura una settimana e qualche volta si trasforma in rivolta popolare contro la polizia.

Ma anche la National Gallery.  Ma anche la National Portrait Gallery.

Ostelli: c’è il Journeys King’s Cross Hostel, in Caledonian Road 54.  C’è lo Smart Hyde Park Inn, al 50 di Inverness Terrace ( consigliato da molti ).  C’è l’Hostel 639 ad Harrow Road.  Ostelli che non arrivano a costare 15 euro a persona.

Piccadilly: anche se non volete andarci ci passarete almeno una dozzina di volte, venendo da Soho o da Oxford Street, quindi passateci e poco distante c’è una grande supermercato dove sono in vendita biscotti dai mille colori e dai duemila sapori.

Ma soprattutto Postman’s Park, Smithfield, una piazzetta affettuosa dove i due protagonisti del film Closer cominciano ad innamorarsi.

Queen’s Theatre: in Shaftesbury Avenue vicino a Leicester Square, è uno dei teatri del centro della città dove potete passare una serata diversa dalle altre.  In questi mesi c’è “ I miserabili “.

Regent Stree: il confine tra Soho e Mayfair, tra il ‘ male ‘ e il ‘ bene ‘.  Una delle strade più importanti dello shopping di Londra e da rifuggire come Piccadilly e tanto centro città.

Ma anche Regent’s Park, il parco più curato della città.  Ma anche i Riverside Studios, dove si possono vedere film classici e film d’essay.  Ma anche Richmond Green con i suoi pub e la buona birra inglese.

Shakespeare’s Globe: è il tempio del teatro shakesperiano, buon spettacolo.

Ma anche Soho, il villaggio cinese al centro di Londra.  Ma anche South Kensington con il Victoria &  Albert  Museum.  Ma anche St James’s Park, il parco che ci pice di più.  Ma anche St Paul’s Cathedral, la chiesa più famosa della città.   Ma anche lo Sherlock Holmes Museum, con i tre piani pieni di cimeli, berretti pipe e quadri dell’era vittoriana.

Tate Modern: Il Museo ( corrispettivo del Beaubourg di Parigi ), molto bella la costruzione, bello il posto, un po’ meno come è strutturata la galleria.

Ma anche un giro in barca sul Tamigi ( che turisti saremmo mai… ).  Ma anche un  nel pomeriggio da Wolseley, al 160 di Piccadilly ( solo per il tè e non per mangiare )

Underworld: se di sera volete ascoltare musica con gruppi indie, punk, metal allora prendete la metro e scendete a Camden Town e chiedete del Word’s End pub.

Veeraswamy: il miglio ristorante indiano di Londra, si trova a Regent ma l’ingresso è in Swallow street.

Ma anche il Victoria Tower.

Westminster: con l’Abbazia e la Cattedrale e la Hall.

Zuma: il ristorante giapponese migliore e più premiato, in stile giappo-lounge, con separè in legno e cucina speciale.

 

Se avete più di una settimana e siete solo in vacanza allora prendetevi del tempo per voi, state seduti a bere il tè o una  birra anche in silenzio, osservate da un angolo un mercato, andate dal barbiere e riannodate con calma i fili della vostra vita e di questa città che può masticarvi e sputare.  Ritrovate voi stessi, cominciando con una parola, entrando da qualche parte, parlando con qualcuno ( non è vero che vi prendono per matti se parlate ad un estraneo ) ed anche un posto anonimo o alienante  può diventare lo specchio del mondo, un luogo che conserverà la vostra orma dei piedi, girovagate verso Tower Bridge, verso Whitechappell o East End,  quando c’è mercato. E potrete dire  di aver imparato a viaggiare.

 

 

 

 

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