Abbiamo visto The Artist diretto da Michel Hazanavicius.

Probabilmente quest’anno Hollywood premierà con gli Oscar due film che con stili differenti raccontano la magia del Cinema, soprattutto quello che fu. Con il film di Martin Scorsese, Hugo Cabret, ambientato a Parigi e con l’omaggio al magico Maries-Georges-Jean Méliès, un regista e illusionista francese che ha diretto più di 1500 film tra il 1896 e il 1914 e con The Artist diretto dal regista dal cognome quasi impronunciabile Hazanavicius.
Un autore sconosciuto in Italia, ma che in Francia, dopo vari lavori televisivi, ha realizzato già cinque film (l’ultimo, un film collettivo, uscirà nel 2012 con il titolo Les Infidèles). The Artist è una superproduzione franco-americana, con un cast tecnico francese, un cast artistico a metà, ma girato completamente a Los Angeles, e che il potente produttore americano Harvey Weinstein ha lanciato nella corsa agli Oscar (preferendogli il film di Sorrentino This Must Be The Place). Il regista deve avere avuto una gran fede in sé e nel progetto, per aver proposto – trovando anche dei no – un film costoso, in bianco e nero e muto, fatta eccezione per una colonna sonora fondamentale anche se un po’ ridondante in alcuni passaggi. Ma forse il grande amore per il Cinema mitologico del muto e la leggerezza del tratto hanno permesso questa operazione sulla carta abbastanza folle per i parametri di oggi.

Hazanavicius volendo fare un omaggio al Cinema, ha immaginato uno dei grandi divi degli Anni ’20, un incrocio tra Douglas Fairbanks, Max Linder e John Gilbert, un attore fisico, egocentrico e col sorriso sulle labbra (un sorriso alla Clarke Gable, anche se lui è della generazione successiva) e lo ha chiamato George Valentin; gli ha messo accanto un cagnetto simpatico che lo segue sempre nei film e nella vita (un omaggio alla famosa cagnetta fox terrier “Asta” della serie cinematografica con William Powell e Mirna Loy: L’uomo ombra (1934) di W.S. Van Dyke è il primo film della serie); gli ha dato una moglie odiosa quasi identica alla diva del muto Mae Bush; e una carinissima giovane comparsa che col sonoro diventerà una diva anche grazie a lui (un po’ Jean Simmons un po’ Norma Shearer) e le ha dato il nome di Peppy Miller. La storia prevedibile l’ha poi presa dal divo John Gilbert e dal suo innamoramento per Greta Garbo. Gilbert, negli anni ’20 era l’artista più pagato a Hollywood, ma un po’ il litigio con produttore Mayer, un po’ il non adeguarsi al nuovo cinema sonoro lo porteranno all’alcolismo e alla povertà, quando la Garbo prova ad aiutarlo e a imporlo nel film Regina Cristina non riuscirà a fermare la caduta del divo che morirà a 38 anni, invece in Artist la giovane diva Peppy Miller innamorata di George lo salva prima dal suicidio, poi lo impone in un film e ‘inventa’ la coppia Ginger Roger e Fred Astaire, anche se poi il rimando sia per i passi di danza che per la fisicità dell’attore ricordano più Ballando sotto la pioggia e Gene Kelly. Il film inizia nel 1927, anno del sonoro, e termina nel 1934; lo stesso anno in cui Ginger Roger e Fred Astaire debutteranno assieme nel musical Cerco il mio amore.

Con questo prezioso e raro film più filologico (con licenze poetiche storiche) che innovativo, Hazanavicius dimostra di conoscere profondamente il Cinema degli Anni Venti e di amarlo e di volercelo fare amare, senza tuttavia avere la spocchia del cinefilo malinconico. In cento minuti di film, si ride, si prende parte alla vita e al dramma raccontati, ci si può anche commuovere e soprattutto dimostra che anche storie lontanissime e ‘mute’ possono coinvolgere lo spettatore e deliziarlo. Due piccolissime pecche – ma forse solo per chi scrive – in quegli anni c’è stato il crollo della Borsa di Wall street, la più grave crisi economica americana, con milioni di disoccupati e centinaia di suicidi, un breve accenno, anche in sottofondo poteva essere aggiunto. Seconda piccola pecca, il film poteva essere dedicato a tutti quei registi e attori anche immensi che non sopravvissero al sonoro, come Buster Keaton, Erich von Stroheim e tanti altri.

In un cast riuscito, segnaliamo l’attore feticcio del regista Jean Dujardin (comico francese non ancora quarantenne, Ah, se fossi ricco, il suo primo film) che ha ottenuto per questa interpretazione il premio come miglior attore all’ultimo Festival di Cannes; Bérénice Bejo, una convincente e solare Peppy Miller e un perfetto John Goodman nel ruolo del produttore Al Zimmer.

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