Il sovrintendente Song Donglu viene inviato a Tiancheng per investigare su un omicidio avvenuto in una fabbrica d’armi. Con l’aiuto del detective Guo Zhui, “la pistola più veloce della città”, della recluta Xiaowu e dell’anatomopatologa Li Jia, Song Donlu cerca di risolvere l’enigma: la pallottola che ha ucciso il caposquadra Chen Qi sembra infatti essersi volatilizzata. Inoltre sulla fabbrica aleggia una sinistra maledizione legata alla morte dell’operaia Yan, quella, appunto, della pallottola scomparsa.

“The Bullet Vanishes” è un esempio da manuale di film d’intrattenimento, non a caso prodotto da una vecchia volpe come Derek Yee, un’opera commerciale realizzata con elevata professionalità, che si richiama con intelligenza alla classica detective story alla Poe o alla Conan Doyle.
Il sovrintendente Song Donglu è un investigatore talmente coscienzioso da impiccarsi da solo, per verificare empiricamente i segni lasciati sul corpo umano dalla morte per strangolamento. Grande estimatore del metodo deduttivo, Song non ha nulla da invidiare a un Auguste Dupin o a uno Sherlock Holmes, ma in più unisce alla sua vocazione cerebrale e speculativa una grande umanità.
Sovrintendente in un penitenziario, si premura di avere buoni rapporti con i detenuti, in particolare con l’affascinante Fu Yan, condannata per aver assassinato il marito, e conserva una fede ammirevole nella natura fondamentalmente buona dell’essere umano. Una convinzione che sarà messa a dura prova nel corso della complessa investigazione riguardante la serie di omicidi che avvengono nella fabbrica d’armi, che coinvolgono una maledizione sovrannaturale e le oscure manovre del direttore della fabbrica Ding e del capo della polizia Jin.

Il mistero centrale delle pallottole scomparse, che è impossibile rintracciare sia nell’ambiente in cui è avvenuto l’omicidio che durante le autopsie, nonostante la perizia delle dottoressa Li Jia, si unisce a un certo punto al classico mistero della camera chiusa, e se entrambi verranno brillantemente risolti da Song, più arduo si dimostrerà per l’investigatore venire a capo di colpe, responsabilità e motivazioni. A prima vista si potrebbe supporre che “The Bullet Vanishes” cerchi di capitalizzare il successo ottenuto dallo “Sherlock Holmes” di Guy Ritchie, ma salvo una sequenza pirotecnica ai limiti del plagio, per fortuna ha poco a che fare con il becero reboot del personaggio perpetrato dal regista inglese.

Il regista Law Chi-Leung, già noto per i thriller psicologici “Inner Senses” (2002) e “Koma” (2004), nessuno dei due particolarmente memorabile, preferisce infatti adagiarsi con successo in un certo tradizionalismo retrò, affidandosi alle prove dei suoi attori, alla solidità della sceneggiatura di Yeung Sin-ling e alle magnifiche scenografie di Silver Cheung, notevolmente valorizzate dai campi lunghi, dalle inquadrature fortemente prospettiche e dal costante utilizzo della profondità di campo. Fabbriche e prigioni, entrambi esempi d’architettura vittoriana d’affliggente cupezza, sembrano voler minimizzare i personaggi, opprimerli, ridimensionarli a misura di un panorama urbano degno delle incisioni londinesi di Gustave Dorè, realizzate agli albori della Rivoluzione Industriale.

Il tema sociale dello sfruttamento del proletariato ad opera di capitalisti senza scrupoli, nella Cina degli anni ’30 ma paradossalmente anche ai giorni nostri, è non solo presente come costante sottotesto, ma anche essenziale nello sviluppo della trama, dato che ad esso è legato non solo la morte dell’operaia Yan, ma anche le condizioni dei lavoratori della fabbrica a cui si cerca di negare il diritto di sciopero. Questo non significa che “The Bullet Vanishes” sia un film cupo. Tra una Roulette Russa e l’altra non mancano infatti i momenti ironici, delegati ai curiosi esperimenti di Song e a una brillante ricostruzione della vicenda di Fu Yan, realizzata come fosse un film dei tempi del cinema muto.

Che Lau Ching-Wan fosse attore di estrema versatilità era cosa nota, e il suo Song Donglu è una degna aggiunta a tutti gli investigatori da lui interpretati nel corso della sua lunga carriera, senza contare che c’è un’evidente intesa con un Nicholas Tse in piena forma, eccellente tiratore che persegue un’agenda del tutto personale.
Il comparto tecnico è naturalmente all’altezza, e se delle scenografie si è già detto, vale la pena notare la bella fotografia chiaroscurale di Chan Chi-ying, giocata su toni caldi e rugginosi.

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