Abbiamo visto “ The Equalizer-Il vendicatore “ regia di Antoine Fuqua.
Un vero peccato aver realizzato un film dalla regia elegante, quasi autorale, con un Denzel Washington in buono spolvero e una storia action leggera e piacevole per tutti i palati. Un peccato perché tanta professionalità è stata utilizzata per una storia sinceramente scombiccherata e senza una linea d’ombra ben decisa. Una storia che rischia di infilarsi e impantanarsi tra Il giustiziere della notte e il primo Rambo. Una storia in cui un certo McCall, una macchina da guerra perfetta, un equalizer – uno che vuole ristabilire l’equilibrio di legalità e giustizia dove è stato alterato –, ex agente della Cia oramai fattosi credere morto da tutti, sbaraglia sì la mafia russa fin dentro casa del boss a Mosca ma inizia a fare giustizia anche di agenti corrotti e quant’altro. Tutto perché la natura dell’uomo è più forte dei suoi proponimenti, il suo destino forse è già scritto. Pretesto per ritornare se stesso, una dolce e sbandata ragazzina russa di professione prostituta che viene picchiata a sangue da un protettore. Probabilmente il regista Antoine Fuqua ( quasi cinquantenne, nero, di Pittsburgh, con alle spalle film action come Shooter e Training Day ) ha cercato di trovare una nuova strada all’action movie inserendo autorialità sia nella forma che nel contenuto. Il film inizia e termina in un bar in stile quadro di Edward Hopper, un uomo solo di notte seduto in un locale semivuoto, si va a sedere lì perché soffre di insonnia e forse di solitudine e legge di Hemingway Il vecchio e il mare. E’ un uomo nella folla, dai gesti maniacali, sembra senza passato e senza alcun futuro. Legge alcune pagine del romanzo, per poi fare due chiacchiere sul romanzo stesso, sui suoi significati e sulla natura degli uomini con una giovane prostituta slava che è in inquieta attesa di una chiamata di un cliente. Ma ciò che è deficitario, nonostante ciò che dicono altri, è il livello politico delle sue intenzioni. Per fare questo tentativo di evoluzione del genere, non del tutto riuscito, parte – come pretesto più che altro – da una serie tv Anni Ottanta, elegante nel genere e originale nell’impostazione, Un giustiziere a New York, mentre il paragone naturale è con registi come Michael Winner e il maestro di questo genere oggi, Michael Mann.
Bob McCall ( Denzel Washington ) è un sessantenne che lavora in un grande magazzino di ferramenta, gentile e simpatico a tutti, proprio una brava persona, equilibrata ma un po’ solitario, i colleghi più giovani al supermercato scherzano con lui e lo chiamano ” nonno “. Passa il suo tempo tra il lavoro, una casa vuota e silenziosa e il bar sotto casa in cui trascorre le notti leggendo libri. Beve tè, supporta un collega sovrappeso a fare un esame per diventare vigilante e scambia qualche chiacchiera col barista e con Alina ( la sedicenne Chloë Grace Moretz, già vista in una ventina di film tra cui Hugo Cabret e Sils Maria ), prostituta slava con ambizioni di cantante e dall’intelligenza viva. Bob si è abituato a vedere tutte le sere la ragazza anche se per pochi minuti, forse si è affezionato a lei e alla sua giovane età ma non chiede nulla quando non la vede per una paio di sere. Ma viene a sapere dal barista che è finita all’ospedale massacrata di botte, allora lui la va a trovare senza però avvicinarla. La natura dell’uomo torna a galla, dimentica la sua scelta di solitudine e quiete e, dopo un ultimo inutile tentativo da brava persona, comprare la libertà della ragazza dal pappone russo, si trasforma nella macchina da guerra che è stato in passato. Bob ritrova il suo istinto omicida e gerarchicamente inizia a colpire tutti gli uomini della mafia russa ed anche i poliziotti americani corrotti, iniziando con Slavi e altri quattro minacciosi mafiosi che riesce a uccidere in diciannove secondi con armi di fortuna come un cavatappi o un piccolo teschio di giada. Scontri, ammazzamenti. fino ad imbattersi in un pericoloso e psicopatico killer mandato da Mosca a risolvere il problema. Si incroceranno, si studieranno fino allo scontro cruento e finale che avverrà proprio nel grande magazzino di fai da te in cui si possono usare gli oggetti per il bricolage come armi letali.
Una buona regia accurata ed elegante ma anche fatta di qualche virtuosisismo eccessivo, una fotografia splendida ( del calabrese naturalizzato americano Mauro Fiore ) e una prova d’attore alta da parte di Denzel Washington. Neo non da poco è la sceneggiatura non all’altezza, che crea un risultato generico, disomogeneo e in alcuni casi troppo grandguignolesco

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