Che il sogno sia un peculiare materiale narrativo è noto, almeno da quando Freud ha dimostrato come i meccanismi del linguaggio agiscano pure negli ingranaggi dell’inconscio. Specialisti nella narrazione dei loro sogni sono stati in molti, ma tra questi un ruolo importante spetta probabilmente allo scrittore francese Georges Perec che tra il maggio 1968 e il settembre 1972 annotò minuziosamente i suoi sogni: il risultato di questa operazione sono le pagine di La bottega oscura (tradotto e annotato per Quodlibet da Ferdinando Amigoni), dove il resoconto del sogno si sovrappone continuamente con la forma narrativa del racconto, in un serie di frammenti di autobiografia che vivono grazie ai continui rimandi ai fantasmi della vita.

Sul legame tra l’esperienza onirica e il racconto è lo stesso Perec a mettere in guardia il lettore nell’apertura del volume, quando sottolinea l’impossibile separazione tra il sogno e la narrazione: «credevo di annotare i sogni che facevo: mi sono reso conto, assai presto, che sognavo solo per scrivere i miei sogni». Anche per questo meccanismo esposto da Perec, che verrebbe da considerare in realtà abbastanza universale, la nuova raccolta Gli dei notturni di Danilo Soscia (autore già dell’ottimo Atlante delle meraviglie del 2018) assume un interesse ancora ulteriore: Soscia infatti attraverso questo libro immagina e racconta i sogni di alcuni dei più importanti uomini del Novecento, riuscendo a creare delle vere e proprie «ipnografie», cercando di ricomporre l’identità dei vari protagonisti attraverso un itinerario onirico-biografico.

Questa nuova opera di Soscia, che mostra di muoversi con grande destrezza tra le biografie dei vari personaggi coinvolti, è forse anche un modo alternativo per raccontare il Novecento con delle biografie notturne che permettono di avvicinarsi ai momenti più importanti delle loro esistenze. Il controllo che ha Soscia sul particolare materiale narrativo è evidente se si considera come egli maneggi la struttura del sogno, trattato alla stregue di un oggetto tangibile e reale che acquisisce concretezza sin dalle prime righe, in questo assecondando quello che ha scritto Ignacio Matte Blanco, ovvero che, parlando dei sogni, «più [ci] si avvicina alla “superficie” più si tratta di un oggetto concreto».

Ciò che rappresenta il denominatore comune di queste pagine, diverse ovviamente per la differente natura di ognuno dei personaggi, è la scrittura di Soscia, analitica e profonda, capace di entrare in un mondo inconscio non suo. Gli dei notturni mette in scena i mondi onirici di uomini legati alla politica (Aldo Moro, Ronald Reagan o Saddam Hussein per esempio), pittori (da Antonio Ligabue ad Amedeo Modigliani a Mario Schifano), attori (Marlene Dietrich o Anna Magnani tra gli altri) e molti scrittori: all’unità temporale, tutti i personaggi appartengono infatti al Novecento, fa da contraltare una varietà geografica che conduce il lettore dall’Europa all’America fino all’Oriente.

Esemplare per l’andamento di questa raccolta è già il primo sogno raccontato, quello di Aldo Moro: Soscia immagina che l’esponente della Democrazia Cristiana, recluso nella sua stanza di prigionia e in compagnia dei suoi aguzzini, veda da uno spiraglio della sua stanza la televisione, dove scorre un episodio di Goldrake («Un personaggio da folclore ebraico, uno smisurato golem nella cui testa galleggiava la sagoma esile di un ragazzo, che ne era il manovratore»).

Il robot diventa immagine di una riflessione ben più ampia sulla relazione tra uomo e artefatti, ma soprattutto su come l’uomo debba controllare questi strumenti (il manovratore «figurava in maniera quasi didascalica il dominio cerebrale dell’uomo sulla macchina. Quel giovane incarnava un’istanza dell’anima, la Ragione a suo modo, o forse la prassi illuminata e benigna di chi manovra la tecnologia per il bene collettivo»). All’interno di questo procedimento narrativo giungono improvvisamente dei momenti di veglia («Ha bisogno di altra luce per scrivere, Presidente? No. Vi ringrazio di ogni cosa. Ha ancora fame, Presidente? Gradisce altro? No, non debbo mangiare più del minimo»), che non si è sempre in grado di capire se immaginati o reali, che interrompono il flusso narrativo ma non il proseguire dei pensieri dei protagonisti, che sembrano infatti vivere solo in una dimensione inconscia e di sogno trovando solo lì soddisfazione ai loro pensieri.

Dare qui conto di parte dei personaggi coinvolti non è semplice né utile, perché sono numerosi e perché ognuno è declinato in chiave particolare, ma certo si possono ricordare a titolo di esempio le pagine dedicate a Tommaso Landolfi in cui Soscia mette in relazione vita, gioco, caso e amore e si mimetizza con successo nel linguaggio landolfiano («È proprio la persuasione di una sconfitta totale la molla del gioco, è la sua menzogna ermafrodita, per un grammo avvinta alla sete venerea che scuote il tavolo a ogni raspata del croupier.

Il resto è espressione di un mercuriale già compilato, dove i numeri e le regole misurano sempre lo stesso evento. L’approssimarsi della fine») oppure quelle feline di Burroughs, dal sapore surrealista e grottesco («Sognai di aver preso con la canna da pesca un gatto bianco. Per qualche ragione stavo per ributtarlo via, ma quello si strofinava contro di me, miagolando pietosamente. Decisi così di custodirlo nel mio appartamento, ma l’animale cresceva a vista d’occhio, ora dopo ora. Mentre ero alla macchina da scrivere saliva sulle mie cosce gelide, ogni volta più pesante»).

Gli dei notturni è un libro prezioso all’interno del panorama editoriale italiano per la sua scrittura e per l’angolatura che sceglie per raccontare delle esistenze, un formidabile e onirico Libro delle ore consultabile in qualsiasi momento, anche per breve tempo, scegliendo una qualsiasi tra queste storie di sogni.

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