Abbiamo visto “ Una vita tranquilla “ regia di Claudio Cupellini.
Negli ultimi anni in Italia l’attore più accreditato è diventato Toni Servillo; classe 1959, nato ad Afragola e residente a Caserta. Ha ricevuto vari premi, tre David di Donatello ( nel 2005, per “ Le conseguenze dell’amore “ di Sorrentino, nel 2008 per “ La donna del lago “ di Andrea Malaioli, nello stesso anno lo abbiamo visto in “ Gomorra “ e nel 2009 ne “ Il Divo “ sempre di Sorrentino ), a questo vanno aggiunti il premio IOMA come migliore attore protagonista, un Nastro d’argento, il premio EFA (Oscar europeo) come migliore attore, e proprio oggi ha ottenuto al Festival di Roma il premio come miglior attore per “ Una vita tranquilla “. Solo nel 2010 lo abbiamo visto o lo vedremo in altri quattro film ( un vero record di questi tempi ): “ Gorbaciof “ di Stefano Incerti, “ Noi credevamo “ di Mario Martone, “ Un balcon sur le mer, di Nicole Garcia e “ Il gioiellino, regia di Andrea Molaioli. Tanto per dire una “ banalità giornalistica “ potremmo paragonare Servillo al grandissimo Gian Maria Volontè. Una delle differenze tra i due è che Gian Maria Volontè interveniva sulla sceneggiatura e certe volte era più ellittico, politico se non più bravo di grandi sceneggiatori come Ugo Pirro, Miguel Littin, Robert Katz, Tonino Guerra. Toni Servillo invece si produce in performance fuori dal comune, rafforza e rende più credibili sceneggiature a volte già viste, a volte di stile televisivo, ma non modifica drammaturgicamente le opere che interpreta. “ Un vita tranquilla “ è uno di questi casi, un film forse già visto, senza vero pathos, drammaturgicamente e registicamente televisivi ( a voler essere diretti, in alcuni momenti sembra un telefilm alla Derrick senza Derrick. Non c’è un’inquadratura, diciamo una, che ci stupisca o sia imprevedibile ), con delle incongruenze psicologiche che non ci attenderemmo da un premio Solinas per lo script del 2003 ( un padre che non vede un figlio da quindici anni, da quando il bambino aveva otto, nove anni, e lo riconosce immediatamente… un camorrista killer che ne ha viste troppe nella sua vita ma che non capisce di che pasta sono fatti due “ guagliune “ napoletani con la faccia da disperati e in procinto di uccidere qualcuno… lo stupore dello stesso che osserva senza capire un appostamento prima di un uccisione, come non fosse stato il suo mestiere per anni… e la polizia di un piccolo paese della Germania che deve indagare su un omicidio brutale e non nota due giovani napoletani vestiti male che girano per il paese, rompono il naso a un tedesco e quisquiglie varie ). Eppure è un film che si fa vedere, gradevole ( che brutta parola ) e con un prefinale originale e che poteva restare tale senza addolcirlo con l’ennesima fuga del protagonista. Per quanto riguarda invece il discorso sul destino degli uomini e sulle sue conseguenze ( tematica che è stato sviscerato e analizzato in molti modi in tanto cinema francese degli anni Sessanta e anche in quello americano, “ Carlito’s way “, uno per tutti ), in questo film si riduce a una imprecazione a dio che non si cura dei suoi figli.
In un piccolo paese della Germania centrale vive Rosario Russo, è un uomo poco più che cinquantenne, è sposato con Renate e ha un figlio di nove anni. Gestisce un importante ristorante-albergo e nessuno conosce il suo passato tranne che ha vissuto degli anni ad Amburgo e ha fatto una vita di sacrifici. Oggi la sua vita scorre serena e si diverte a fare il cuoco e forse a prendere in giro i clienti tedeschi con ricette a dir poco strambe come cinghiale e gamberi.
Un giorno di febbraio, durante un pranzo per cinquanta e passa persone, arrivano due scugnizzi napoletani. Edoardo, irruento e violento, è il figlio di Mario Fiore, capo di una famiglia camorrista; l’altro, più tranquillo ma non meno pericoloso, si chiama Diego: Rosario lo riconosce subito, è suo figlio. Non si vedono da almeno dodici anni, da quando Rosario è sparito da Napoli facendosi credere morto da tutti, perché stanco di essere un killer di camorra e temendo di fare una brutta fine assieme alla sua famiglia. Suo figlio è oggi un affiliato al clan dei Fiore, ha quasi preso il posto del padre; infatti è in Germania con Eduardo perché devono uccidere un industriale che a giorni firmerà un accordo con l’Italia per prendersi la ‘ monnezza ‘ di Napoli e bruciarla in un suo termovalorizzatore. La vita tranquilla di Rosario Russo prende una piega drammatica e nulla resterà come era…
Il regista Claudio Cupellini ha una breve carriera senza particolare spessore, dirige i suoi lavori in maniera poco
creativa, senza sapore e senza una cifra stilistica ben chiara. Ha diretto dei cortometraggi, ha partecipato a un film collettivo che si intitola “ 4-4-2 “ sul mondo del calcio di provincia, ha girato nel 2007 una commedia che ha avuto un certo seguito “ Lezioni di cioccolato “ e oggi a sorpresa firma questo noir “ napoletano “ non proprio nelle sue corde. Oltre alla ‘solita’ prova d’attore di Servillo, ci sono giovani attori bravi come Marco D’Amore ( forse al suo esordio ), Francesco Di Leva ( attore utilizzato da Aurelio Grimaldi in “ Un giorno nuovo “, “ La donna lupo “ e in “ Iris, Rosa Funzeca “ ) e bravi sono anche gli adulti Juliane Köhle e Maurizio Donadoni. Curata e bella la fotografia anche se un po’ convenzionale, come prevedibile la colonna sonora.

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