La vera storia della donna che piange

“Le lacrime sono l’acqua dell’anima, quell’acqua che purifica, che dà un senso alla storia vissuta”, narrava un’antica storia. Dalle storie orali nasce la storia di Chokani, la Llorona – la donna che piange. Chokani è il suo nome in náhuatl, la seconda lingua del Messico. Chokani un tempo era Nahui. Secondo una storia che si tramanda, a Xochimilco, presso Città del Messico, Nahui era una principessa, sorella di Teotécpatl, signore di Xochimilco. Quando, nel 1571, gli spagnoli devastarono Xochimilco, il capitano Jeronimo Quijano violentò Nahui, la principessa che aveva detto al fratello di accogliere gli stranieri con la consueta ospitalità xochimilca. Poi Nahui vide il massacro della sua gente da parte dei soldati spagnoli e uccise il neonato avuto da Quijano.

Così recita il racconto:

Forse la solitudine, l’ira o la tristezza furono i detonatori che la portarono a offrire il proprio figlio, appena nato, ai signori dell’infra-mondo, come scambio per non dimenticare, per rimanere sempre qui a prendersi cura di loro, come Chuacóatl, madre tutelare del popolo xochimilca. Nahui si gettò alle spalle la sua essenza mortale per convertirsi in una Chokani, la Llorona come la conosciamo oggi, un sospiro nel vento, o chissà un sussurro che ci ricorda eternamente che in questa terra non ci fu, né ci sarà mai perdono, e tanto meno oblio!

In questo racconto, la Llorona è una divinità; nasce dalla devastazione spagnola, dall’incontro tra il popolo nahuatl – i figli dei maya, degli aztechi e di tutti gli altri popoli delle Americhe – e il colonialismo spagnolo. È una principessa che si trasforma, protegge il suo popolo e uccide il frutto di una violenza subita per non dimenticare il massacro della sua gente. Questa la storia per cui la canzone recita: “Mi impedirono di vederti, Llorona, ma di dimenticare mai”.

La tradizione orale riporta che in alcune aree del territorio messicano, era necessario imporre il coprifuoco, per evitare che una persona, nell’udire i lamenti della Llorona, venisse rapita dalle grida strazianti e si gettasse nelle correnti fredde del fiume o patisse affezioni mentali irreversibili, impazzendo nel sentire, attraverso il contagio, la tristezza immensa di quel lamento per non dimenticare: lavoro dell’inconscio coloniale.

La Llorona rappresenta il mito della Madre Terra, La Gran Diosa, che è fonte di vita multiforme ed abbondante però, al tempo stesso, pretende la vita. La Llorona appare sulle sponde del fiume o vicino ai canali d’acqua. Acqua e sangue richiamano alla dimensione della vita e della morte, all’origine e alla distruzione. Una madre terra che grida il suo essere violata e conquistata, la terra messicana che non smette di sanguinare, che uccide ma che allo stesso tempo non smette di piangere i corpi dei propri figli.

 

La Llorona coloniale

Non c’è significato più arcaico e più potente della Llorona, rappresenta il femminile puro: la donna, la madre e la figlia. Ma la sua storia può essere distorta: un femminile violato, che trova il coraggio di risorgere, un femminile tramandato attraverso l’oralità, nelle grida, nei pianti e nei lamenti, diventa un femminile stregonesco nella scrittura dei conquistadores.  Il potere colonialista trasforma la Llorona da divinità in strega. Così recita ancora la canzone, in una delle tante versioni: “Uscivi da una chiesa Llorona, e mentre passavi ti ho vista. Vestivi un manto ricamato, tanto bello che la Vergine ti ha creduto”.

In questa seconda versione la Llorona è una Medea Maya o Azteca. Come Medea uccide i figli quando l’uomo, che con lei li ha generati, sposa una nobildonna spagnola. Poi però la Llorona, pentita per il misfatto, ruba figli altrui e ripete il gesto infanticida in un delirio radiale infinito. Qui il racconto sulla Llorona si è trasformato in un gesto sincretico: l’incontro della Llorona con la Vergine, che non la riconosce per via di un manto bellissimo che indossa. La Llorona, assume caratteri di una strega e madre infanticida. Il mondo coloniale crea le proprie streghe meticce.

In certe circostanze, per il colonialismo diventa necessario attribuire a un mito femminile la crudeltà. Ciò che guida questa storia distorta, maschile e coloniale, è il terrore nei confronti di una tenerezza che diventa il suo opposto. Si è inventata una Llorona vendicativa per poter squalificare la potenza della tenerezza femminile che, in situazioni devastanti, compie un gesto estremo, per non dimenticare. La Llorona è uno dei fantasmi dell’inconscio collettivo, si trasforma: prima in Messico, in America latina, negli Stati Uniti e poi nel mondo intero.

 

La realtà sotto il rebozo

Il rebozo è uno scialle, un manto, lo stesso manto ricamato che inganna la Vergine in chiesa: “Coprimi con il tuo manto Llorona perché muoio di freddo” (“Tàpame con tu rebozo Llorona porque me muero de frio”). La bellezza del Messico è straordinaria, meravigliose le sue coste, le sue valli, le sue città storiche, le sue chiese tardo gotiche, seicentesche, la piazza arabesca di Guadalajara, i murales di Diego Rivera e di José Clemente Orozco, che cantano la liberazione del Messico, una liberazione sempre in corso, mai compiuta, con i suoi eroi, come Emiliano Zapata e Pancho Villa. Ma col passare del tempo questa leggenda rivoluzionaria, che si dimena tra Cuba e gli Stati Uniti, si appanna e tornano fuori le vecchie cisti del colonialismo e delle perdite umane e territoriali di questo paese meraviglioso.

Nel 2014 uno di noi arrivò in Messico il giorno dopo la strage di Iguala: 43 giovani, in quei giorni, furono consegnati, dalle forze di polizia locale, ai Guerreros Unidos, un gruppo terrorista criminale che ne fece strage e li seppellì in una fossa comune. Pochi giorni fa l’ANSA, ha dato notizia della morte per violenza in Messico di 8.737 persone nel primo trimestre del 2019. Come nella strage di Iguala, con i giovani interrati in fosse comuni, non si conoscono i nomi di molte persone massacrate. I media non raccontano de los niños trabajadores, (i bambini lavoratori), a cui vengono negati i diritti fondamentali; non raccontano la criminalità che usa l’infanzia e l’adolescenza per il mercato sessuale, dove i bambini diventano oggetto di piacere selvaggio e stupro; non raccontano dell’assassinio di bambine e bambini, per espiantarne gli organi e venderli. Organi mal conservati, che si portano via anche chi li ha comprati per trapiantarli.

Amnesty International riporta che la maggior parte delle donne, quasi il 7% della popolazione, che abita le carceri federali messicane, è detenuta per reati connessi alla droga, dove le confessioni vengono estorte ancora oggi con la tortura e lo stupro è quotidianità.

 

La Llorona statunitense

Questo si aggiunge alla violenza subita dalla terra messicana, più e più volte invasa, torturata e violentata da vari conquistadores. Ci siamo chiesti se la Llorona dei racconti coloniali non sia anche un’allegoria, di segno opposto, nei vicini territori statunitensi. Durante la guerra tra Messico e Stati Uniti del 1846-48 vaste aree del Messico furono annesse agli Stati Uniti. Molte persone in Messico usano ancora l’espressione “rubati” per riferirsi a quei territori: il Texas, la California, il Nuovo Messico, dove – secondo il New York Times del 23 Aprile – altri squadristi, della stessa stoffa dei Guerreros Unidos, stavolta statunitensi, chiamati United Constitutional Patriots, sequestrano famiglie migranti sul confine e li detengono illegalmente. Pretendono di essere padroni di un territorio che hanno sottratto centocinquant’anni fa a chi ora cerca di entrarci per lavorare.

Dopo l’invasione spagnola dei secoli della conquista, il Messico ha subito una seconda devastazione coloniale, in nome di Dio, come la prima, ma di un dio che, stavolta, sceglie gli Stati Uniti come terra promessa. Le conquiste statunitensi vennero giustificate dalla dottrina del Destino Manifesto, proposta da John Louis O’Sullivan (1813-1895), giornalista, militante del Partito Democratico e dipinta da John Gast (1842-1896) nel 1872.

Dottrina espansionista, altrettanto crudele rispetto a quella spagnola di trecento anni prima, presentata in un’immagine di donna casta e puritana, almeno quanto la Llorona cattolica è stata descritta come strega immonda e mortifera. La doppia proiezione dell’allegoria femminile del Progresso Americano e della Llorona, la disfatta messicana e il trionfo statunitense, mostrano il contrasto proiettivo del Mondo Nuovo. Le due parti femminili – quella immacolata e progressista puritana e quella immonda e stregonesca cattolica – sono una cosa sola. Ciò che la donna dell’allegoria di Progresso Americano aggiunge, i nuovi territori, la Llorona lo sottrae. Il Progresso Americano non è altro che una Llorona Messicana invertita. Ma la lingua non mente. I nomi, benché storpiati dall’inglese, sono testimoni di questa nemesi. La Jolla, per esempio: in spagnolo suona la choia, ma i gringos, che ignorano l’esistenza di altre lingue fuori dall’inglese, dicono la giolla.

 

Muri

C’è qualcosa che passa attraverso i muri di confine tra il Messico e gli Stati Uniti. Un urlo antico e attuale, con la voce delle vittime sequestrate dai gruppi criminali tollerati e protetti dai reciproci governi, le voci dei morti, dal profondo delle fosse comuni, dalla frontiera dove i bambini vengono separati dal petto della madre e dalla famiglia. Urla la Llorona un dolore fatto di sangue, di terra, di lacrime e acqua, urla per i figli del Messico uccisi, per i bambini sequestrati, affinché il loro ricordo viva e non cada in un freddo limbo.

In un certo senso, in tutte le storie, le più antiche e le più attuali, il significato della Llorona non cambia, si configura come il modo, storicamente e collettivamente condiviso, di raccontare le disgrazie di un mondo di disperazione. La storia del Messico dev’essere ricordata in tutte le sue parti. La Llorona, strega del colonialismo ispanico, e la donna pura, che designa il “destino manifesto” della conquista statunitense, sono le versioni oscene di una divinità femminile, una principessa Nahui, che diventa Chokani per non dimenticare i massacri delle conquiste territoriali e morali delle Americhe, quella ispanica e quella statunitense.

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