Abbiamo visto “ Suburbicum “ regia di George Clooney.

con Matt Damon, Julianne Moore, Noah Jupe, Gleen Fleshler. Genere, Commedia black/thriller. Produzione U.S.A., 2017. Durata 105 minuti. Da mercoledì 6 dicembre 2017.

Una sceneggiatura scritta negli Anni Ottanta da quei due maghi della commedia sofisticata che si chiamano i fratelli Coen e riscritta oggi per un buon regista come Clooney – che se non fosse il divo per eccellenza, verrebbe sicuramente preso più in considerazione -, con un cast eccellente come Matt Damon e Julianne Moore, eppure alla fine dei conti il film Suburbicum risulta un soufflé venuto non bene. Perché sì, è perfettamente in linea con la poetica coeniana e con i suoi elementi distintivi, l’ironia sulla terribile società americana fascistoide e razzista degli anni cinquanta, il tentativo di raccontare una società che si rappresenta per ciò che non è, far apparire i protagonisti goffi, inetti e maledettamente stupidi – molto simili a quelli dello splendido film Fargo – un po’ idioti e un po’ criminali, ma dopo un inizio originale e quasi imprevedibile, il film prende una piega molto differente, perde l’ironia complessiva tipica dei Coen, pur lasciandone traccia qui e là, e prende una direzione complessivamente pulp, amorale nel senso pieno e ferocemente criminale che porta a un finale da Grand Guignol, quindi facendo perdere qualsiasi simpatia per i protagonisti, relegati a essere dei mostri senza alcun tipo di spessore.

L’America degli anni Cinquanta e Sessanta è sempre stata così bel raccontata e descritta dai fratelli Ethan e Joel Coen, quell’America dell’ipocrisia e del benessere, delle vite colorate come dei manifesti pubblicitari, l’America ancora della caccia alle streghe, della guerra fredda, dei Nixon e del K.K.K., mal disposta ai cambiamenti sociali e ossessionata dalla inviolabile idea di pseudo perfezione e pronta a difenderla con ottusità e involontaria ingenuità da qualsiasi fonte di ‘disturbo’. E anche in Suburbicum c’è tutto questo, ma senza il tocco alla Coen e quindi tutto diventa – nella seconda parte – greve, meccanico e in fondo crepuscolare.

 

Ci troviamo a Suburbicon ( un’immaginaria cittadella ‘ perfetta ’, con villette a schiera e strade alberate: una via di mezzo tra quella di Una donna perfetta e Truman Show ), qui risiedono i Lodge – Gardner ( un Matt Damon così bravo a non sembrare bravo ) e sua moglie Rose ( Julianne Moore, molto convincente nel ruolo stucchevole e criminale allo stesso tempo ) che sta su una sedia a rotelle per un incidente d’auto, hanno un figlioletto Nicky non ancora adolescente; vive con loro la sorella di Rose, Margaret ( la stessa Moore ). Insomma vivono la classica vita tranquilla e sonnacchiosa, mentre nella strada viene a vivere una famiglia di colore i Meyers che provoca nei simpatici abitanti della zona una rabbia profonda e razzista. Una sera due criminali a viso scoperto entrano nella villetta dei Lodge, obbligano la famiglia a riunirsi, li legano e li narcotizzano, ma la povera signora Rose non regge alla narcolesi e muore. La loro vita, dopo il funerale, procede come al solito, Margaret resta in famiglia perché il piccolo non può stare senza una madre e Gardner Lodge riprende a lavorare nella società in cui è un dirigente, ma in realtà aspetta di avere i soldi dell’assicurazione sulla vita della moglie, inizia così a svelarsi una verità che è l’esatto opposto di quella che si poteva immaginare…

Suburbicon, ha inizialmente un ritmo morbido e in fondo troppo compiaciuto nei dettagli, come idea di regia, si adopera a raccontare dettagli e particulari non sempre necessari, poi nella seconda parte c’è una girandola cupa e anche macabra che solo in brevi tratti mostra il distacco e l’ironia necessaria. Poi fra fragili strategie criminali ed esplosioni di vero pulp, si giunge nella parte finale alla disintegrazioni non solo morale dei protagonisti. Un film riuscito solo in parte, forse anche per la presenza ingombrante di tanto grande cinema dei fratelli Coen.

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