Abbiamo visto “ 007 – Skyfall “ regia di Sam Mendes.
“ Cambia todo en este mundo “ cantava Mercedes Sosa, e allora perché non deve cambiare 007 ? Eppure a furia di cambiare “ todo “ sembra che non resti nulla. Una specie di storia sgangherata che può scrivere anche il nostro portiere dopo un litro di vino, una regia che gioca a fare l’autore con dei birilli e che ci fa dire: è inutile fotografare bene un’esplosione se poi non serve a nulla. Al 23esimo 007, c’è per la terza volta un Bond ( un Daniel Craig roccioso come uno scoglio ) che più algido e in parte insulso non si poteva scegliere, a questo aggiungete M ( il premio Oscar Judi Dench ) gelida come un pezzo di ghiaccio, e le nuove entry: l’attore shakespeariano Ralph Fiennes in un ruolo ridicolo e inutile, stesso si può dire per il cameo Albert Finney e di Ola Rapace ( qualcuno la riconoscerà ? ) e infine il povero Javier Bardem, biondo, checchizzato ed edipico, il cattivo, che sembra esserlo meno di tutti gli altri e quasi verrebbe voglia di tifare per lui se non fosse che poi il film non può terminare. Va bene che la serie di 007 è la più lunga della storia del Cinema, che il primo film è del 1962 ( “ Licenza di uccidere “ ), che ci sono stati 6 James Bond, 12 registi e 23 film, ma quando è troppo è troppo. Non ci sono nemmeno belle città da vedere e sognare e anche le donne che vanno a letto con l’agente con licenza di uccidere hanno il fascino di una bambola gonfiabile. Va bene che dagli Anni Settanta le sceneggiature dei film si discostano talmente dai plot di Ian Fleming che decisero di provare a tornare sul mercato con dei libri che avessero riportato le novellizzazioni dei film ( tie in ). Va bene che dopo gli ultimi pessimi film con Roger Moore e Timothy Dalton ( storie stanche, pessime e scritte con sciatteria ) c’era stato qualche ripresa fragile con Pierce Brosnan per poi sembrare risvegliarsi e innovare con il primo di Daniel Craig ( Casino Royal – ottima action, modesto il plot ), ma quest’ultimo è davvero inguardabile narrativamente e diventa ancora più meschino quando si gioca a tornare alle origini con l’Aston Martin in garage, il ricordo dei genitori di Bond morti quando lui era un bambino, il ritorno a casa come un momento terapeutico-distruttivo e alla fine ricompare anche una nuova segretaria dal nome inconfondibile Miss Moneypenny.
Bond questa volta si trova ad Istanbul, deve recuperare un file su cui ci sono scritti tutti gli agenti inglesi infiltrati in gruppi terroristici. 007 insegue il ladro e killer per le strade affollate della città, nel gran bazar, poi per i tetti, in metropolitana e sul tetto di un treno. Bond lo sta per afferrare ma M, che segue il tutto via satellite, temendo di perderli sullo schermo ordina di uccidere entrambi. Ma cade solo Bond dal treno, per alcune centinaia di metri fin dentro le acqua di una cascata. Viene data per morto, scritto il necrologio e compianto, ma Bond invece è sopravvissuto, ammaccato e deluso da M riprende le sue forze su qualche spiaggia asiatica.
Vengono pubblicate su Internet le identità dei primi sei agenti che naturalmente saranno uccisi dai jadisti e M è chiamata a rispondere della questione e della sua gestione davanti al governo britannico che vuole le sue dimissioni. Bond allora stanco del relax e venuto a sapere che la sede dell’M 16 è stata distrutta da un attentato rientra a Londra e riprende il suo posto per andare a scoprire chi è alla testa di quest’organizzazione criminale e in quattro e quattotto raggiunge l’isola ( questa volta non splendida e con un mare turchese, bensì un’isolaccia semidistrutta e abbandonata – è da queste cose che si sente “ l’autore “ ) in cui vive il cattivissimo Silva, un ex agente dell’M16, ‘ venduto ’ da sua mamma M e torturato fino allo sfinimento dai cinesi. Ritornato quasi in salute ha coltivato la vendetta e adesso chiede il conto al suo ex direttore. Questi due ‘ ragazzi ‘ traditi dalla stessa M(adre), Bond e Silva si confrontano a chiacchiere, a colpi di pistola e a cazzotti fino a che i loro passati non esplodono. Naturalmente il bene vince sul male e sui coni d’ombra, che la sceneggiatura utilizza varie volte nei dialoghi per alzare il tono del film.

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