Potremmo chiamarlo il ventennale che nessuno ricorda. Ecco perché su Polisblog, come nella migliore delle tradizioni di Blogo, ci piace, invece, parlarne. Nel suo brano di commemorazione, Marcos ripercorre i vent’anni dell’insurgenza zapatista.

Erano le sei del mattino del 1° gennaio 1994, quando l’Ejército Zapatista de Liberación Nacional (EZLN) scese nelle strade di San Cristóbal de Las Casas e di Ocosingo, Chanal, Altamirano e Las Matgaritas, in Messico. Per la precisione in Chiapas.

L’obiettivo principale era, comunque, San Cristobal.

I turisti, presenti in gran numero, vennero radunati nella Plaza des Armas, e venne spiegato che non sarebbe stato fatto loro alcun male. E che il giorno successivo avrebbero potuto andarsene a Cancún. Nel frattempo verranno trattenuti. Non come ostaggi, ma perché la paura dell’EZLN era che le forze governative messicane potessero anche uccidere qualche turista straniero per poi dare la colpa ai ribelli.

Fra i membri dell’esercito spiccava un uomo(*), vestito di nero, con il passamontagna e un ricetrasmettitore fissato alla cintura. Alto, tranquillo, parlava con fare carismatico: era evidentemente il leader. Era il subcomandante Marcos.

Ad un certo punto, nella frenesia di quell’1 gennaio, accade una cosa che assurge alla dignità di aneddoto storico – e forse si mescola alla leggenda. Accade questo: a San Cristobal, i turisti, che probabilmente non si rendono ben conto della situazione e che comunque hanno capito che non verrà fatto loro alcun male, cominciano a protestare. Qualcuno(**) si lamenta più degli altri, dice di aver pagato e di voler andare a visitare il sito archeologico di Palenque.

Marcos perde la pazienza, ma non il suo senso dell’umorismo. E apostrofa così il turista:

«El camino a Palenque está cerrado. Tomamos Ocosingo. Perdonen las molestia pero ésta es una revolución»

Non c’è bisogno di tradurre, direi. L’ironia e la sagacia di Marcos emergono, fin da questa nota di colore (molto meglio in spagnolo che in italiano).

La data dell’1 gennaio 1994 era stata scelta, simbolicamente, perché in quel giorno entrava in vigore il North American Free Trade Association: la protesta zapatista, di ispirazione marxista e antisistemica, in una delle regioni più controverse e problematiche del Messico (il Chiapas è ricchissimo di risorse naturali, la popolazione indigena è poverissima) sarebbe presto diventata punto di riferimento di un movimento mondiale contro il neoliberismo e l’imperialismo americano. Possono sembrare concetti vetusti, ma sono, oggi come allora, estremamente attuali.

Oggi, vent’anni dopo l’inizio della ribellione dell’EZLN, Marcos – che non appare in pubblico da cinque anni – si fa di nuovo vivo con un brano dal titolo CUANDO LOS MUERTOS CALLAN EN VOZ ALTA, che inizia con una citazione da Moby Dick a proposito della vita e della morte: la prosa è sempre la solita, risoluta e coinvolgente, arguta e ironicamente profonda.

La notizia non è rimbalzata al di qua dell’oceano. E anche al di là, non è che sia stata da prima pagina. Perché certe notizie è meglio che non vengano diffuse troppo, evidentemente, e perché i cambiamenti, i movimenti che lavorano sul territorio per anni interessano poco o niente al meccanismo delle notizie di oggi, che le notizie le tritura.

Il brano ha, in calce, questa dicitura:

Es territorio zapatista, es Chiapas, es México, es Latinoamérica, es la Tierra. Y es diciembre de 2013, hace frío como hace 20 años, y, como entonces, hoy una bandera nos cobija, la de la rebeldía.

La bandiera della ribellione, spiega Marcos nel pezzo, in cui cita anche don Durito(***),

«non è un patrimonio esclusivo degli zapatisti. Lo è dell’umanità intera. E questo è da festeggiare. Ovunque, ogni giorno, ad ogni ora. Perché la ribellione è anche una festa».

Una festa che, in Chiapas, riguarda tanto per cominciare un centinaio di comunità indigene che si autogestiscono, decine di migliaia di persone che hanno anche fondato una scuola per diffondere l’esperienza messicana in tutto il mondo. Perché la memoria di quanto fatto fino a questo momento è qualcosa che deve servire da fondamenta per il futuro, anche se il mondo dei media ignora i progressi del movimento zapatista.

Marcos resta un simbolo. Un simbolo dal fascino e dalla potenza inalterati, per chi ha continuato a seguirlo. Come accade con i simboli “ribelli” e antisistemici (si veda il caso di Occupy Wall Street, per esempio), è sparito velocemente dai media. Se volete avere un’idea di cosa abbiano ottenuto, gli zapatisti, è molto utile leggere il comunicato dello scorso 30 dicembre 2012, probabilmente già sepolto nella memoria da decine di migliaia di input e di certo mai giunto alla memoria collettiva:

«Noi non siamo mai morti, anche se loro si sono impegnati a far credere ai media di ogni tipo che lo eravamo, noi siamo risorti come Indigeni Zapatisti che sempre siamo stati e sempre saremo.

In questi anni abbiamo potenziato e migliorato in maniera significativa le nostre condizioni di vita. Il nostro livello di vita è superiore a quello delle comunità indigene affini al governo di turno, le quali ricevono solo l’elemosina e sperperano quei soldi in alcool e articoli inutili. Le nostre abitazioni migliorano senza per questo intaccare la natura ed imponendole, quindi, un percorso che le è sconosciuto.
Nei nostri villaggi, la terra che prima era utile solo a ingrassare il bestiame dei latifondisti e dei proprietari terrieri, ora produce mais, fagioli e verdure che splendono sulle nostre tavole. Il nostro lavoro ci dona la doppia soddisfazione di provvedere al necessario per farci vivere onestamente e di contribuire alla crescita collettiva delle nostre comunità. I nostri figli e le nostre figlie vanno ad una scuola che le insegna la oro propria storia, quella della loro patria e del mondo, come insegna le scienze e le tecniche necessarie per accrescere il proprio sapere senza smettere di essere Indigeni.

Le donne indigene zapatiste non sono vendute come mercanzia. Le Indigene affiliate al PRI vanno nei nostri ospedali, cliniche e laboratori perché quelli del governo non hanno medicine né strumentazioni né dottori né personale qualificato.

La nostra cultura prospera, non per l’isolamento ma per l’arricchimento dovuto al contatto con le culture degli altri popoli del Messico e del Mondo.

Governiamo e ci governiamo autonomamente, cercando sempre il confronto prima dello scontro.
Tutto questo è stato raggiunto non solo senza il Governo, la classe politica e i media che li appoggiavano, ma anche resistendo ai loro attacchi di ogni tipo.

Abbiamo dimostrato ancora una volta che siamo ciò che siamo.
Con il nostro silenzio abbiamo affermato la nostra presenza».

Una presenza che resiste, anche dopo vent’anni. E che, piaccia o meno, ha ottenuto risultati e costituisce ancora oggi un modello alternativo. Ecco cosa si può rispondere a chi si chiede cos’abbia ottenuto in tutti questi anni l’EZLN.

Allontanatasi progressivamente dall’immagine militare (sebbene di scontri, ufficialmente, se ne siano registrati solamente nei primi 12 giorni della ribellione e sebbene sia stato anche troppo spesso il governo messicano a infrangere l’accordo di cessare il fuoco e ad assediare con presidi militari le comunità autogestite del Chiapas), l’insurgenza zapatista resta un simbolo cui tendere, non solo nelle fantasie utopistiche.

      (*) Fonte:

La rebelión de las Canadas

      , scritto da Carlos Tello Díaz

 

      (**) Il libro di Díaz non lo precisa, ma io mi sono convinto che fosse un italiano.

 

      (***) (un personaggio letterario creato dallo stesso Marcos: è uno scarafaggio che – come don Chisciotte – pensa di essere un cavaliere errante e, nella finzione degli scritti del Subcomandante, tratta lo stesso Marcos come suo studiero. Il personaggio ha generato un bellissimo scambio fra il premio Nobel per la letteratura

Octavio paz

      e Marcos. Il primo ha affermato che «don Durito è un’invenzione letteraria memorabile». Il secondo ha ribattuto: «Lui non è un’invenzione, è reale. Io, semmai, sono un’invenzione»)

 

      Nell’immagine di apertura, una foto di Marcos senza passamontagna tratta dal libro di Díaz. Accanto a lui, la tenente Cecilia. Sulla sinistra, probabilmente, la comandante Elisa.

Il saluto zapatista al ventennale
Lo scritto del Subcomandante Marcos.

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