In Iran ci dovrebbe essere la Setta dei Poeti Estinti, o meglio dei Poeti Martiri, con il nuovo membro Hashem Shabani di Ahwaz, al confine con l’Iraq, che è stato impiccato per aver “diffuso la corruzione sulla terra”.

La sua preparazione accademica (era insegnante di lingua e letteratura araba), la sua poesia pacifista, la sua attenzione per il padre infermo (soldato ferito nella guerra contro l’Iraq fra 1980-88), il suo amore per la moglie e per il figlio: tutto getta vergogna su chi ha compiuto l’esecuzione.

I suoi assassini, il Ministro dell’Interno iraniano e e il Giudice del tribunale rivoluzionario Mohamed-Bagher Moussavi, sono i primi colpevoli. Poi ci sono i gruppi iracheni di opposizione che hanno condannato il presidente iraniano per questa morte giusto il tempo del lutto. E poi c’è la storia, che è il terzo esecutore del massacro.

Il poeta Shabani reo confesso in tvIl poeta Shabani reo confesso in tv

Shabani era accusato di aiutare la Resistenza scrivendo la sua poesia in arabo (e traducendo la poesia Farsi in arabo). Cosa che di questi tempi è percepita come sovversiva. In una lettera scritta dalla prigione Shabani ha detto che non poteva rimanere in silenzio rispetto “agli orribili crimini contro gli ahwazi perpetrati dalle autorità iraniane attraverso esecuzioni ingiuste e arbitrarie. Ho cercato di difendere la legittimità, che ogni persona di questo mondo dovrebbe avere, di vivere liberamente secondo diritti civili. Ci sono tutte queste miserie e tragedie, ma io non ho mai usato un’altra arma per lottare contro atroci crimini che non fosse la mia penna».

In Iran evidentemente ferisce più la penna che la spada. Soprattutto se i servizi di sicurezza nazionali hanno la paranoia della minaccia di separatismo non solo a Ahwaz, ma in Baluchistan, nel Kurdistan e in altre comunità di minoranza nel paese.

Per ironia della sorte il regime dello Shah, deposto nel 1979 dalla rivoluzione islamica, ha lasciato un senso di nazionalismo nei leader religiosi del “nuovo e moderno Iran”.
Non è stato di aiuto al trentaduenne Shabani, torturato in prigione prima di essere ucciso insieme ad altri 14 attivisti dei diritti umani.

A dicembre 2011 Shabani è apparso in sulla Press TV, canale satellitare internazionale dove chi è sospettato di svolgere attività ostili al potere confessa i reati commessi. Confessa dopo aver subito torture e minacce. Lui confessò di aver attentato alla sicurezza nazionale. La Press Tv lo ha anche accusato di aver avuto contatti con il presidente egiziano Mubarak e col colonnello Gheddafi.

I gruppi di opposizione hanno condannato la sua morte e la decisione del Presidente Hassan Rouhani, nuovo amico dell’Occidente da quando ha assicurato che non farà uso di bombe nucleari.

Limitarsi a condannare è una pratica comune nella politica iraniana. Decine di artisti, insegnanti e scrittori sono stati uccisi dal “moderatissimo” Ayatollah Mohamed Khatami e dal predecessore Ali Akbar Rafsanjani.

La poesia di Shabaani era per lo più non politica. Prima di morire ne ha scritta una che si intitolava “Sette Motivi Per Cui Dovrei Morire” e recitava: “Per sette giorni mi hanno urlato: Stati facendo la guerra ad Allah. Sei un arabo. Sei di Ahwaz. Prendi in giro la sacra rivoluzione. Sei un uomo, non è abbastanza per morire?». Infine è stato impiccato.

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