Se n’è andato da questo mondo Juan Gelman, uno dei più prestigiosi poeti viventi, un argentino che aveva provato sulla sua pelle la crudeltà della dittatura militare nel suo Paese, dove durante gli anni del terrore, avevano sequestrato e ucciso suo figlio Marcelo Ariel e sua nuora Maria Claudia Garcia, genitori di una bimba nata in carcere e della quale si era persa ogni traccia. Anni dopo, una campagna internazionale di intellettuali e di militanti lo aveva aiutato a ritrovare la nipote che nella stagione dei desaparecidos era stata data in adozione ad una famiglia di Montevideo. Con lei a fianco Gelman, nel 2007, era andato a ricevere a Madrid il Premio Cervantes, la più alta onorificenza letteraria al mondo dopo il Nobel. Ho avuto l’onore di conoscerlo e di frequentarlo. Con lui e con Manuel Vazques Montalban, nel Duemila ci ritrovammo a Città del Messico a festeggiare la marcia zapatista che il subcomandante Marcos aveva organizzato proprio per dar voce ai discendenti delle popolazioni Maya, ancora in lotta per la loro sopravvivenza.
Ha scritto anche per la nostra rivista Latinoamerica. Ricordo in particolare una sua denuncia memorabile dei guasti fisici e morali procurati a molti soldati nordamericani dal propanololo, una sostanza chimica che avrebbe dovuto cancellare i rimorsi di questi soldati nelle loro “guerre senza leggi”. Nel 2005, nell’indifferenza del mondo, si erano suicidati circa 17 reduci al giorno. Qui di seguito riproponiamo quelle righe strazianti, pubblicate sul Latinoamerica n. 101.

(G.M.)

LOBOTOMIA MORALE

di Juan Gelman

Non si tratta del semplice lavaggio del cervello, del quale si occupano quotidianamente governi come quello della Casa Bianca, dove posano le loro terga -unica materia pensante che, a quanto sembra, posseggano- i fautori di guerre infinite, o certi media, certi programmi radiofonici, certe catene di televisione. È qualcosa di peggio, è la mutilazione di sentimenti morali come il pentimento, la colpa, la memoria dell’orrore, la solidarietà, la compassione, la ripugnanza a uccidere altri esseri umani e perfino la dignità del combattimento. Il pentagono ha preso delle misure affinché nulla di tutto questo colpisca i suoi soldati, che vengono considerati a stento come materiale usa e getta. Il Congresso degli Stati uniti lo ha ufficializzato.
La legge di psicologia Kevlar del 2007 consente al Dipartimento della Difesa “di sviluppare e applicare un piano di misure preventive e di intervento precoce, di pratiche o procedimenti che riducano la possibilità che il persona- le in combattimento soffra di disordini post traumatici [Ptsd, dalla sua sigla in inglese] e altre psicopatologie riferibili allo stress, ivi compreso l’uso di sostanze” [www.opencongress.org, 31.7.07].
La sostanza è il propanololo e questa preoccupazione è fondata: quasi il 40 per cento dei soldati, un terzo dei marines e la metà delle guardie nazionali che hanno combattuto in Iraq soffrono di gravi turbe mentali, a quanto affer- ma un rapporto del Gruppo di lavoro sulla salute Mentale del Pentagono [www. defense link.mil, 15.6.07]. Nel rapporto relativo ai suicidi nelle forze armate statunitensi dopo l’invasione e l’occupazione dell’Iraq si registra che la per- centuale di effettivi che si sono dati la morte con le loro mani nel 2006 è la più alta dal 1980 [www.armymedicine.army.mil, 2006]. La Cbs ha dato notizia
a dicembre del fatto che, in base ad una ricerca da loro condotta, più di 6250 veterani si sono suicidati nel 2005, circa 17 al giorno. Le perdite al fronte sono state molto minori. La morte non cessa di lavorare anche dopo gli scontri.
La logica della legge Kevlar è semplice: se i giubotti antiproiettile proteggono il fisico dei militari statunitensi, perché non usare delle droghe per proteggerne la soggettività? Dalla Seconda Guerra mondiale, il Pentagono sta sviluppando dei metodi per modificare i valori etici che le famiglie e la scuola inculcano nelle reclute. Il tenente colonnello Peter Kilner è stato molto chiaro al riguardo: “L’addestramento miliare moderno condiziona i soldati in modo che rispondano agli stimoli, cosa che ne esalta la capacità letale, travolgendo qualsiasi autonomia morale. I soldati vengono condizionati ad agire senza considerare le ripercussioni morali delle loro azioni, li si rende capaci di uccidere senza aver preso la decisione cosciente di farlo. Se non possono giustificare a se stessi l’atto di uccidere un altro essere umano, probabilmente e comprensibilmente si sentiranno molto colpevoli e ciò si manifesterà in un Ptsd e danneggerà la vita di migliaia di uomini che hanno fatto il loro dovere al fronte” [The New Yorker, 5.7.04]. Il colonnello Kilner è un professore di filosofia e di etica a West Point. Come definirà l’etica nelle sue lezioni?
La capsula di propanololo destinata ai militari statunitensi ha diversi effetti. È come una pillola del giorno dopo, attenua o spegne la memoria degli orrori visti o commessi. Questa tecnica di congelamento della sensibilità e della memoria spiega la paura delle famiglie che invade le case quando i veterani tornano ed esercitano una violenza indiscriminata.
Anche il numero degli stupri nelle forze armate Usa ammontano a 2374 casi nel 2005, un incremento del 40 per cento rispetto all’anno precedente, e parliamo solo dei casi denunciati. Il general K. C. McClain, comandante del gruppo di lavoro del Pentagono incaricato della prevenzione e della risposta alle aggressioni sessuali nelle proprie fila, ha dichiarato: “Gli studi indicano che viene notificato solo il 5 per cento di questi fatti” [www.defenselink.mil, 16.3.06]. Se così fosse, queste aggressioni avrebbero superato la cifra di 47000 nell’anno in esame, più di 130 al giorno. Una sciocchezzuola, via.
È noto che il propanololo viene impiegato a fini terapeutici, fra l’altro per abbassare la pressione sanguigna e frenare l’aritmia cardiaca. Alcuni atleti l’utilizzano come un doping con lo scopo di migliorare il rendimento.
Per il Pentagono è un’altra cosa: una garanzia che le truppe possano perpetrare qualunque crimine senza porsi nessuna domanda e possano continuare a farlo. La legge Kevlar facilita la “cura” degli impulsi suicidi e dei disturbi mentali di cui soffrono i militari nordamericani mutilandone la memoria e i sentimenti. La lobotomia morale esiste.

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