Abbiamo visto “ Cosa voglio di più “ diretto da Silvio Soldini.
E’ sempre un piacere andare a vedere un film di Soldini, autore rigoroso, originale e raffinato. Poco ascrivibile al cinema italiano, probabilmente è il regista più ‘ europeo ‘ che abbiamo; un autore non collocabile nella Commedia all’italiana nonostante film come “ Pani e tulipani “ e “ Agata e la tempesta “ ma allo stesso tempo non riesce a diventare un autore profondo come Antonioni nonostante sia simile per asciuttezza e “ razionalità “, tantomeno come Keislowsky di cui si può dire debitore della sua estetica. Tuttavia riesce a trovare una collocazione del tutto personale e a costruire uno stile riconoscibile. Anche in quest’ultimo film si ritrovano le sue tematiche centrali anche se – e ci dispiace dirlo – è un film poco riuscito nella scrittura, sembra indeciso se scegliere il taglio sociale o una storia d’amore piuttosto semplice e banale. Storia d’amore che “ parte “ dopo un’ora di film, prima ce un indugiare sul sociale, su rapporti umani normali, sulla difficoltà economiche, sul desiderio di sesso di una brava ragazza troppo a lungo assopita e sul raccontare personaggi “ veri “ come non se ne vedono più nel cinema italiano ( per qualche momento ci è venuto in mente “ Rocco e i suoi fratelli “, ma solo per qualche istante ). E i personaggi maschili risultano convenzionali, poco originali se non banali. Cito per tutti il personaggio di Alessio ( interpretato dal bravo Giuseppe Battiston ) un personaggio troppo a tutto tondo, buono per paura della vita e della solitudine, senza alcun sussulto o stranezza. Un personaggio simile c’è in “ Intimacy “, ma il tassista lì ha un respiro e una costruzione drammatica perfetta. In questo, la sera, Alessio vede film stupidotti in televisione o legge libri di storia a letto. Tuttavia la regia si mostra sicura e pari agli altri film precedenti, sempre indirizzata verso una unità tematica e formale: usa l’occhio come lente che osserva leggendo la vita con naturalezza, mentre l’inquietudine e la tensione percorre il cambiamento dei personaggi ( scusate se ci ripetiamo, su uno script non ben raccontato ).
La storia è ambientata in una Milano di periferia urbana, Anna ( la sempre più brava e convincente Alba Rohrwacher ), è una giovane impiegata di un agenzia assicurativa milanese , convive da anni con un tranquillo compagno, Alessio ( Giuseppe Battiston ) che gestisce un negozio e fa piccoli lavoretti extra. Tutta la settimana al lavoro, la sera cene semplici e un po’ di televisione, qualche amico con cui andare in qualche pub rumoroso, dei parenti cordiali e affettuosi e il sabato nei centri commerciali. Domenico ( Pierfrancesco Favino, in questo film con due sole espressioni facciali, sorridente o immusonito ) immigrato calabrese che lavora sottopagato in un’agenzia di catering , è sposato con due figli piccolissimi. Anna e Domenico si incrociano casualmente, si rincontrano ancora casualmente ma è lei ad aver notato lui, uno scambio di numeri telefonici, lei gli manda un sms per incontrarlo in un caffè. Si vedono, finiscono nell’ufficio di lei poco distante, ma un imprevisto impedisce di consumare; lui va via, lei lo cerca. Poi si organizzano e si incontrano alcuni mercoledì sera in un motel non proprio allegro a 50 euro per quattro ore. I primi incontri sono fugaci, poi scatta l’amore e la passione.
Ma lui ha una moglie e due figli e rimane ondivago, lei invece sarebbe pronta a lasciare il suo compagno. Forse Domenico riuscirebbe a continuare la sua vita e ad astrarsene nel loro rifugio con specchi del motel, lei invece non sopporta quell’equilibrio fatto di bugie e piccole fughe. Un litigio, poi un altro. Lei lo lascia, Quindi una piccola vacanza in Egitto ( che sembra del tutto inutile drammaturgicamente, per come è stata girata: una serie di banali inquadrature turistiche, tra tappeti sui tetti, venditori di orecchini e bambini che vendono fiori ). Al ritorno mentre aspettano i bagagli all’aeroporto, lui va al bagno e lei invece prende una decisone…
Soldini narra la generazione dei quarantenni, precaria sul lavoro ma anche affettivamente, attraverso piccole storie di persone semplici e normali e una storia d’amore di oggi. Anna e Domenico sono il simbolo della realtà attuale, dove a volte basta davvero poco per poter incrinare vecchi equilibri mettendo in serio pericolo presente e futuro. E quanto in realtà i due protagonisti sono appagati sentimentalmente dalla loro “ apparente ” felicità, fatta anche con i rispettivi compagni di noiose serate trascorse a vedere la televisione o ad accompagnare i bambini al parco, la vita sfugge di mano. E’ la donna, come quasi sempre, decide, anche per lui, di non essere più protagonista ma solo spettatrice. Sinceramente questa analisi “ dura “ di Soldini la condividiamo poco, anzi ci sembra che la superficialità dei tempi sia più per distruggere per sentirsi protagonisti che non il contrario.

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