“Quando guardi a lungo nell´abisso, l´abisso guarda in te”. Citazione scontata da Nietzsche, ma l´unica che dia un senso a quello che l´uomo fa da secoli, forse da sempre, senza che si riesca a trovare un senso: scalare le montagne, affrontare dirupi, spaccarsi le mani sulle rocce, tagliarsi il viso nel gelo. Solo per raggiungere la vetta. E la gloria, certo. Ma non è solo questione di essere i primi a piantare una bandiera su una cima, a dare un nome a uno sperone: l´idea dell´ascensione, come quella della caduta, è dentro l´uomo. La montagna è dentro l´uomo. Per farsene un´idea, ecco un´antologia che congela le ossa: Sul tetto del mondo. Raccoglie i racconti di oltre un secolo di spedizioni: Robert Bates sul K2, René Desmaison sulle Grandes Jorasses, Maurice Herzog sull´Annapurna, Jon Krakauer sul Devils Thumb, Messner sull´Everest senza ossigeno. Imprese sportive, imprese ai limiti.
Basti per tutte il racconto della spedizione sul Monte Bianco di Walter Bonatti del ‘59, una delle più tragiche della storia. E pensare che durante la scalata lui e il suo vecchio amico ricordavano di quando, su cime più impegnative dall´altra parte del mondo, si dicevano: prima o poi torneremo al Pilone, come a dire sulle più rassicuranti pareti italiane. Invece fu una storia catastrofica che ancora oggi, come le storie nere di montagna, una volta tornati a valle non si riesce a chiudere una volta per tutte.
Forse perché mentre si è in alto, tutti i conti tornano, si cammina, ci si arrampica, si respira, si sopravvive. E ogni pensiero non è altro che quello. È quando si torna a valle che i pensieri, come gli uomini, tornano piccoli e incerti. Non sono più sicuri di aver visto ciò che hanno visto, vissuto ciò che hanno vissuto. E cercano di raccontarlo affidandosi a quelle stesse parole che però ora hanno meno forza per chi le scrive. Ma forse non per chi le legge.
È proprio così che vanno letti questi racconti, come una continua e inconsapevole metafora: “Ma io non mi trovavo sul suo sentiero illuminato, il mio lato rimase al buio”; “non crollare ora, non crollare”; “mi stavano chiamando, erano venuti a prendermi, da qualche parte, lassù, qualcuno mi stava chiamando”; “tutto d´un tratto ho paura, ho paura del silenzio, del freddo. Ho paura della sofferenza che ho già provato, della sofferenza che mi aspetta: non posso affrontare un´altra volta l´incubo della notte”.

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