Dopo quasi un quindicennio in cui la sinistra – populista o popularista che sia – con il voto popolare aveva preso il sopravvento in quasi tutto il Continente Latino americano, adesso mostra un sostanziale regressione che si potrebbe sintetizzare con lo slogan la sinistra arretra mentre la destra – anche quella più reazionaria – avanza.

La ragione di questo cambiamento è che il boom economico ha perso del tutto la sua forza ( dal Brasile all’Argentina ) e una grave crisi economica ha causato anche il crollo dei prezzi delle materie prime vitali per le esportazioni; ma non secondario in quasi tutti i Paesi c’è stato un aumento anche della corruzione di classi politiche che pur provenendo dalla sinistra rivoluzionaria e guerrigliera sono inciampate nella più classica delle compromissioni e dell’interesse personale, cosa che ha fatto da incremento a questo cambio così radicale ( da El Salvador, del Fronte Farabundo Marti  per la liberazione nazionale, al Nicaragua, del Fronte Sandinista di Daniel Ortega – quest’ultimo tuttavia resiste al potere nonostante le rivolte popolari -, fino al Venezuela di un inadeguato Maduro, al Brasile di Lula da Silva e poi Dilma Rousseff – coinvolti in scandali forse pilotati -, tanto per indicarne solo alcuni ); queste due ragioni sono andate di pari passo con l’insicurezza sociale e l’azione criminale dei vari cartelli della droga.   Questi tre fattori hanno portato buona parte dell’elettorato ad un atteggiamento anti-establishment come non era mai capitato prima: ma la reale novità è che prima l’establishment era composto solo dalle famiglie ricche e potenti e dagli apparati militari che rappresentavano la destra, adesso invece in alcuni stati il potere corrotto è rappresentato da quei rappresentanti della sinistra legale, e non, che dalla fine del secolo scorso, e in questo secolo, sono entrati nell’agone politico a tutti gli effetti.

La svolta nel subcontinente latino è cominciata già da alcuni anni, ma negli ultimi due è stata ancora più evidente proprio in quelle nazioni in cui la sinistra è stata predominante dopo decenni di feroci dittature o di governi corrotti.  Così sono passati da sinistra a destra Argentina, Cile, Perù, Brasile, Panama, Haiti, Honduras, Paraguay ( questi due ultimi Paesi, anche a causa di golpe tollerati dagli USA, contro presidenti progressisti o di sinistra, liberamente eletti dal popolo: come nel 2009 con Manuel Zelaya a Tegucigalpa in cui viene arrestato e subentra un golpe solo apparente morbido, e negli anni vengono eletti prima Porfirio Lobo Sosa e poi Juan Orlando Hernandez, entrami del Partito nazionale dell’Honduras; oppure in Paraguay dove il Presidente Fernando Armindo Lugo Mendez, ex vescovo e teologo della liberazione che svolta a sinistra dopo 35 anni di feroce dittatura e 17 di “democradura”, subisce l’impeachment dal Senato di Asuncion e viene destituito con accuse arbitrarie ).

La febbre elettorale di questi ultimi due anni, che – con le debite differenze sociali e culturali – hanno molti punti di contatto con la crisi delle democrazie degli Stati Uniti e dell’Europa, hanno visto dei cambiamenti radicali nei Paesipiù importanti del Latinoamerica, dal Messico al Brasile, dalla Colombia all’Argentina.   In questi quattro Paesi l’unica elezione in controtendenza è stata alla fine del 2018 in Messico, dove, per la prima volta è stato eletto un Presidente ‘ di sinistra ‘ Andrés Manuel López Obrador ( conosciuto con la sigla AMLO  ) che ha vinto le elezioni ma che da appena insediato è accusato di disattendere molte delle promesse della campagna elettorale, tra cui la lotta al narcotraffico e quindi alla sicurezza.  Ma negli stessi mesi – in Brasile è stato eletto l’ultra conservatore Jair Bolsonaro, dalle idee e dalle dichiarazioni più simili al presidente filippino Rodrigo Duterte che a quelle di Trump e del nostro Salvini.

Per molti osservatori, l’America Latina è giunta ad un bivio politico che con le prossime sei elezioni presidenziali e legislative condizioneranno, se non plasmeranno, la politica per almeno il prossimo decennio.

 

In MESSICO:

La più grande democrazia di lingua spagnola per oltre sessant’anni ha avuto un solo partito al potere, il P.R.I. ( Partito Rivoluzionario Istituzionale ), un partito solo apparentemente moderato e molto corrotto. Passato alla storia anche perché sotto i suoi governi gli oppositori – ma anche solo chi era critico – veniva sequestrato, rinchiuso in carceri clandestine e dopo essere stato torturato, ucciso e fatto scomparire, questa “ pratica “ sotto il regime egemonico verrà presa ad esempio poi da Pinochet in Cile e da Videla e Massera in Argentina.  Per la prima volta nel 2000 il P.R.I. perde le elezioni presidenziali contro il partito conservatore P.A.N. di Vicente Fox; successivamente viene eletto un altro Presidente di destra, del PAN, la cui vittoria è stata contestata per mesi, e forse a ragione, per poi vedere il ritorno di un rappresentante del PRI nel 2012, Enrique Peña Nieto, anche lui accusato di brogli elettorali e accusato di avere atteggiamenti autoritari.  Nel 2018, un politico outsider di 64 anni Andrés Manuel López Obrador ( chiamato anche AMLO ), di tendenza populista di sinistra, e capo assoluto del Movimento di Rigenerazione Nazionale nato nel 2011 come  associazione civile e solo nel 2014 trasformato in partito nazionale ( Morena ).  Alle elezioni del 2018 ottiene il 53,7% dei voti tenendo a larga distanza sia il candidato del PAN che quello del PRI giunto solo terzo con il 16% dei voti.

López Obrador ha promesso molto in campagna elettorale, dalla lotta dura al narcotraffico, alla fine della corruzione, dalla diminuzione della violenza, alla lotta alla povertà e alle disuguaglianze. Ha promesso di voler raddoppiare le pensioni, aiutare l’economia rurale e sviluppare l’economia. Promesse forse un po’ azzardate che hanno creato molte perplessità e subito dopo le elezioni i primi malcontenti tra il popolo.  Obrador ha iniziato a voler diminuire l’elefantiaca amministrazione pubblica e ridurre i salari degli impiegati; ha iniziato una campagna non molto efficace contro l’impunità e la corruzione, come non riesce a far ‘ tornare i militari nelle caserme ‘ e mettersi al servizio dello stato.  In un momento così delicato si aggiunge la questione delle carovane dei migranti che venendo dal Centro America hanno attraversato il Paese e si sono stabiliti al confine tra Messico e Stati Uniti, cosa che irrita Trump che proprio in questi giorni ha minacciato il governo di punirlo con un rialzo arbitrario dei tassi doganali sui prodotti messicani.

 

In Guatemala

Il Paese maya – dopo un trentennio di feroci dittature e di guerriglia è tornato alla democrazia il 29 dicembre del 1996. Ma il ritorno alla libertà non ha cambiato sostanzialmente il clima di grandi disuguaglianze, razzismo nei confronti delle popolazioni indigene che continuano a subire angherie e sopraffazioni e una classe politica corrotta e stretta a doppio filo con i militari.  I presidenti eletti dal 1986 al 1996 sono stati in pratica sotto il controllo stretto dei generali, Gustavo Espina è durato solo 5 giorni e l’ultimo Alejandro Maldonado Aguirre solo sei mesi.  Il primo Presidente Álvaro Enrique Arzú Irigoyen ( 1996 – 2000 ), politico conservatore e fondatore del Partido de Avanzada Nacional ( PAN ) colluso con i militari del trentennio golpista, è tuttavia passato alla storia per aver firmato una pace con i gruppi di guerriglia nel Paese; successivamente una serie di presidenti neoliberisti e legati alle multinazionali che hanno contribuito a svuotare le risorse del Paese nelle mani di un’oligarchia terriera preoccupata solo di tutelare i propri interessi.  Il 16 giugno prossimo, si tornerà alle urne per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica, lo scenario politico non promette come al solito nulla di buono; la situazione sociale e politica continua a essere insopportabile ponendo il Paese tra i più diseguali socialmente del mondo: il 73% della popolazione non raggiunge un salario minimo, un terzo della popolazione è alla fame, mentre 80 bambini su 100 soffrono di denutrizione cronica.  Il Presidente in carica è l’ex attore comico, Jimmy Morales, tra i leader del partito conservatore, Fronte di Convergenza Nazionale; appena eletto, è stato denunciato da Claudia Josefa Chávez López per violenza sessuale, lesioni e minacce ma l’accusa è finita nel nulla; nel 2016 Morales è stato accusato di corruzione, come successivamente suo fratello e suo figlio, mentre il capo anticorruzione dell’ONU, Iván Velásquez – che ha indagato su di lui – ha subito un decreto di espulsione;  nel 2017 il fratello Sammy Morales è stato arrestato assieme ad uno dei figli del Presidente per corruzione e esportazione di capitali all’estero.  Le due candidate più probabili vincitrici sono state eliminate dai giochi, la prima è Zury Rios del partito Viva ( Vision con Valores ), figlia del dittatore Rios Montt e sua fedele collaboratrice oltre che deputata per ben quattro legislature, La Corte Suprema di Giustizia ha rigettato la sua candidatura perché è vietato ai parenti dei dittatori di presentarsi alle elezioni presidenziali; l’altra è l’ex procuratrice generale Thelma Aldana che – nello scontro giudiziario con il Presidente Morales si è vista accusare di corruzione –  è dovuta andare in esilio in El Salvador per evitare l’arresto: proprio in questi giorni il tribunale amministrativo elettorale l’ha estromessa dalle elezioni a causa delle accuse costruite contro di lei.  In questa campagna elettorale c’è l’estromissione del Movimento Semilla, un partito nato da poco di ispirazione progressista e non accettato alle elezioni perché giunto fuori tempo massimo. Un’altra candidata forte, ma anch’essa forse fuori dai giochi, è Sandra Torres del partito UNE di ispirazione socialdemocratica di destra, nel cui partito ci sono vari deputati che sono anche sindaci di città; sull’ex First Lady del Guatemala dal 2008 al 2011, giunta seconda al ballottaggio alle elezioni presidenziali del 2015, negli ultimi tempi ci sono molte voci sempre più insistenti che la collegano con gli Zetas e con gruppi di narcotrafficanti che avrebbero finanziato la sua campagna elettorale ( si parla di 5 milioni di dollari ).   Il candidato Mario Estrada dell’UCN ( Union Cambio Nacional ), è stato arrestato a Miami per aver chiesto al cartello della droga di Sinaloa dei finanziamenti in cambio di libertà di movimento in Guatemala, secondo il Dipartimento di Giustizia statunitense avrebbe pianificato anche la morte di rivali politici pur di vincere le elezioni.  I movimenti di sinistra – elettoralmente piccoli e contrapposti – sono rappresentati dalla candidata indigena, Thelma Cabrera, del Movimento per la Liberazione dei Popoli ( MLP ), dal piccolo partito Winaq, fondato dal Premio Nobel Rigoberta Mencù e che candida Manuel Villacorta, uno scrittore e  giornalista,  altro candidato di sinistra è Pablo Ceto dell’Unione Rivoluzionaria Nazionale Guatemalteca ( URNG-MAIZ ) nato nel 1982 dalla fusione dei quattro gruppi guerriglieri più importanti del Guatemala, ma le percentuali elettorali precedenti non vanno oltre il 3% per ognuno.  E poi ci sono altri candidati come Fredy Cabrera del partito Todos che nell’ultima tornada ha ottenuto il 5% dei voti; il partito P.P.T. che ha come candidato Josè Luis Chea, nato negli ultimi anni e per la prima volta nella sfida elettorale; il P.U., un partito di destra, che ha come candidato Pablo Duarte. Sembrerebbe avere maggiori possibilità l’ex militare e deputato Estuardo Galdamez dell’FNC di Morales.

 

In El Salvador

Il martoriato Paese Centroamericano, descritto molto bene nell’omonimo film di Oliver Stone  – tornato ad una convivenza civile solo nel 1992, con l’accordo di pace fatto dal governo e il gruppo guerrigliero del Fronte Farabundo Marti di Liberazione Nazionale – ha visto svolgersi le ultime elezioni il 3 Febbraio scorso.  Dopo anni che i Presidenti eletti sono stati del Partito Arena – Alianza Republicana Nacionalista ( fondato nel 1981 dal maggiore Roberto D’Aubuisson, colui che ha formato gli ‘ squadroni della morte ‘ ed è stato il mandante dell’omicidio dell’Arcivescovo Romero ), dal 1989 si sono alternati Alfredo Cristiani, Armando Calderon Sol, Francisco Flores Perez e Antonio Saca, poi nel 2009 il vento è cambiato e sono stati eletti prima Mauricio Funes, e nella tornata successiva, Salvador  Sánchez Cerén, entrambi esponenti del Fronte Farabundo Martí per la Liberazione Nazionale.  Sul Mauricio Funes ci sono stati sospetti di corruzione e di aver pagato deputati per ottenere il loro voto per far passare delle leggi, e in questo momento è coinvolto in quattro processi;  l’ex  comandante guerrigliero Salvador Sánchez Cerén invece è stato giudicato un pessimo presidente, definito “ Un Presidente assente “, durante i suoi anni di mandato l’economia si è fermata senza produrre lavoro mentre la violenza è molto aumentata ( in un giorno sono stati uccisi ben 37 persone ) rendendo El Salvador uno dei Paesi più pericolosi al mondo, per il potere dei cartelli del narcotraffico; l’unica riforma che è riuscito a far passare è stata nel 2017, la modifica del Codice della famiglia che vieta  i matrimoni tra consanguinei;  l’inadeguatezza di Sanchez ha portato anche gli elettori di sinistra ad un giudizio negativo dell’ FMLN che nell’ultima tornata elettorale è giunto terzo nei consensi con solo il 14,41% dei voti.

Alle elezioni di febbraio ha vinto anche inaspettatamente il giovane imprenditore Nayib Armando Bukele Ortez, già sindaco per il FMLN di Nuevo Cuscatlán e della capitale San Salvador; il 10 ottobre del 2017 è stato espulso dal Fronte Marti con l’accusa del Tribunale Etico di aggressione verbale e di creare divisioni interne con atti diffamatori nei confronti del partito.

Bukele ha allora fondato un suo movimento e il 30 giugno del 2018 ha stretto un’alleanza con un istituto politico di sinistra Cambio Democratico (C.D. ) per poter candidarsi alle elezioni.   Con il partito GANA ( in spagnolo, vinci ) diventa al primo turno Presidente di El Salvador battendo Carlos Calleja del partito Arena, Hugo Martinez del FMLN e Josué Alvarado di Vamos.  Il primo atto simbolico di questo Presidente trentasettenne già denominato “ millennial “ è aver ordinato di cambiare il nome ad una caserma intitolata ad un militare responsabile del massacro di El Mozote nel 1982 in cui furono uccise quasi  1000 persone tra cui 552 bambini e dodici donne incinte da parte dei militari.

 

In Panama

Nel piccolo stato di Panamá – soprannominato “ La Singapore del Centroamerica – si sono svolte – dopo tre anni dal gravissimo scandalo finanziario internazionale – le elezioni, il 5 maggio scorso.  Panamà è oggi più vicina a Pechino economicamente che a Washington e il suo canale rimodernato in una colossale ristrutturazione, il 26 giugno del 2016, ha visto innagurarlo – con una prima imbarcazione  del colosso cinese dell’economia targato Cosco Shipping, cioè la più grande  compagnia di spedizioni della Cina Popolare – tagliando il Canale appena rinnovato, e così ponendo un segnale chiaro e forte, sottolineato dalla presenza di una delegazione di una trentina di super manager di banche e big industriali dell’Estremo Oriente.  Ulteriore sigillo dell’egemonia economica cinese, il 28 marzo il presidente cinese Xi Jinping e il presidente panamense Juan Carlos Varela hanno fatto visita ai New Panamax Locks sul Canale di Panama.

I sette candidati alle elezioni presidenziali di Panama – con i rispettivi partiti – sono stati Laurentino Cortizo per il P.R.D. ( Partito Rivoluzionario Democratico ); Rómulo Alberto Roux Moses per C.D. ( Cambio Democratico ); Ricardo Lombana per una lista indipendente; José Isabel Blandon per il P.P. ( Partido Panameñista ) e gli outsider Ana Matilde Gomez, indipendente, Saul Méndez per il Fronte Ampio per la Democrazia, Marco Ameglio anche lui indipendente.  Anche qui la corruzione è uno dei problemi più gravi assieme alla crisi del lavoro ( L’ex Presidente Ricardo Martinelli di origini italiane e amico di Berlusconi è finito in carcere nel 2017 ) e gli elettori hanno mostrato una certa diffidenza e disaffezione.  Chi è andato a votare lo ha fatto stanco dei partiti tradizionali e nessuno degli indipendenti che si sono presentati hanno mostrato nulla di nuovo.

D’altronde non si può dare torto ai panamensi, la situazione politica negli ultimi anni ha visto diffondersi platealmente la corruzione della classe dirigente oltre che ritrovarsi in una grave crisi economica che ha portato ad un aumento degli scioperi generali e di costanti proteste di piazza.  Tra le ragioni principali di questo malcontento è la mancanza di acqua potabile con i relativi problemi sulla salute dei cittadini, a questo c’è da aggiungere la pessima condizione della scuola e dei mezzi di trasporto; oltre – come abbiamo già visto in buona parte del Latino America – una mancanza di legalità e di sicurezza nelle strade che hanno portato ad un aumento di delitti nelle strade e di furti nelle case anche povere.  La mancanza di viveri e l’alto costo dei generi di prima necessità hanno completato questo quadro. Tutti problemi quasi endemici negli ultimi anni che i vari governanti hanno promesso sempre di risolvere senza però farlo; problemi che accomuna Panama agli altri Paesi Centroamericani come Guatemala, Honduras, El Salvador e Nicaragua.  Le forze di sinistra e dei movimenti popolari potrebbero avere facile presa ma sono divisi in almeno 10 Centrali operaie divise tra loro sulla tattica, a questo si deve aggiungere l’influenza della Chiesa anglicana in questo Paese che tende a spoliticizzare ogni cosa

Laurentino “ Nito “ Cortizo – con la sua alleanza di centro sinistra – ha vinto ottenendo il 33,35 % e 35 deputati, secondo è giunto Romulo Roux con il 30,99 e 18 deputati, molto più indietro sono giunti l’indipendente Ricardo Lombana e José Blandon – con il partito dell’ultimo Presidente -, poco o quasi nulla gli altri candidati.  Cortizo diventerà ufficialmente nuovo Presidente il 1° di luglio e sostituirà Juan Carlos Varela del Partito Panamenista che è già passato alla storia per essere coinvolto nello scandalo della corruzione di Odebrecht ( una società brasiliana che ha pagato tangenti ai politici di parecchi Paesi, dal Brasile al Peru ).

Le elezioni sono state considerate  “ storiche “ sia per lo stretto margine tra i primi due candidati ( una differenza di solo 37.000 voti ) sia perché il vincitore sembra voler un forte cambiamento dai politici e i partiti degli ultimi dieci anni.

“ Nito “ Cortizo ha 66 anni e viene dall’impresa edilizia, la sua campagna elettorale, come molte altre del Continente latino, si è basata sulla lotta alla corruzione e promettendo un “ Buon governo “, i cui punti centrali sono la lotta alla povertà e alle diseguaglianze e produrre nuovi posti di lavoro.  Gli oppositori invece lo hanno già accusato di non avere un programma politico chiaro e di essersi sottratto ai dibattiti elettorali.

 

In Colombia

La Colombia è paradossalmente il Paese più stabile di tutto il Latino America, con Presidenti di destra risultati sempre vincitori alle elezioni ( dal conservatore Andrés Pastrana Arango al liberale Álvaro Uribe Vélez appoggiato dai conservatori e considerato un fantoccio degli USA, fino a Juan Manuel Santos Calderón, figlio di una delle famiglie più potenti del Paese e coinvolto nello scandalo Odebrecht da cui avrebbe ricevuto molto denaro per vincere le elezioni ). Le motivazioni sono evidenti, dal 1964 esistono nel Paese le F.A.R.C. ( Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia – Esercito del Popolo ) che hanno controllato per anni molte zone del Paese e per decenni hanno combattuto una lotta senza quartiere con l’esercito e gli squadroni della morte militari.  Non si può parlare dei Presidenti e dei governi del Paese senza tralasciare la nascita di questa longeva organizzazione rivoluzionaria, nata dopo l’’Operazione Marquetalia, in cui una massiccia operazione militare dello Stato colombiano con appoggio statunitense doveva servire a reprimere le esperienze di auto-organizzazione agraria contadina che si erano sviluppate nelle regioni Tolima e Huila,   Coloro che sono sfuggiti al massacro, comandati da Manuel Marulanda hanno iniziato una guerriglia mobile per oltre vent’anni.  Nel 1984 c’è stato un accordo tra il Presidente  Belisario Betancur Cuartas e le FARC che prevedeva un cessate il fuoco e la possibilità di presentarsi alle elezioni da parte dei guerriglieri.  Le FARC hanno costituito, in alleanza con altre forze, un movimento politico legale denominato Unión Patriottica e si sono presentati alle elezioni del 1985 eleggendo 14 parlamentari e diversi sindaci e consiglieri.  Ma le forse paramilitari e anche l’esercito hanno sterminano migliaia di membri e dirigenti ad ogni livello, compresi i candidati alla Presidenza della Repubblica Jaime Pardo Leal e Bernardo Jaramillo.  Allora le FARC hanno deciso di tornare alla lotta guerrigliera.   Negli anni Novanta, anche in conseguenza del vistoso peggioramento delle condizioni di vita della popolazione nelle zone rurali, le FARC hanno una grande crescita numerica e militare che convince nel 1998 il Presidente Andrés Pastrana ad aprire dei colloqui di pace, in un’area smilitarizzata nel centro della Colombia.  Pastrana e il Comandante delle FARC-EP, Manuel Marulanda, hanno sottoscritto un’intesa con l’obiettivo di ricercare una soluzione politica al conflitto sociale e armato.  Ma Pastrana, alla fine del proprio mandato, su spinta statunitense, decide di interrompere il dialogo di pace e torna  all’azione militare.  Anche con il presidente successivo di Álvaro Uribe Vélez ( 20022010 ) continua l’offensiva militare che tuttavia vede solo delle momentanee vittorie.  Le FARC-EP controllano un 20-25% del territorio colombiano concentrate principalmente nelle giungle del sud-est del paese e nelle aree montagnose.  Dopo la morte per infarto dell’ex leader Manuel Marulanda Vélez  le FARC sono state guidate dal quasi sessantenne Guillermo Leon Saenz, fino alla sua morte, avvenuta in combattimento nel novembre 2011, mentre erano in corso i contatti per l’apertura dei dialoghi di pace che si sarebbero concretizzati nel 2012 a Oslo e a L’Avana. A seguito di ciò, Rodrigo Londonio detto ” Timochenko “, 52 anni, è stato designato nuovo comandante del Segretariado.  Nel maggio del 2015 il Consiglio di Stato colombiano ha determinato che le FARC non possono essere considerate un’organizzazione terroristica bensì come un gruppo guerrigliero, parte di un conflitto armato che deve essere interpretato e regolato secondo quanto previsto dal Diritto Internazionale Umanitario.   Nonostante i possibili accordi la delegazione del governo colombiano si rifiuta di proclamare la tregua, e le operazioni militari delle Forze Armate proseguono ininterrotte, con bombardamenti su accampamenti guerriglieri seguiti da azioni di truppe di terra, ma il 24 settembre 2015 viene siglato all’Avana, alla presenza di Raúl Castro, un accordo storico tra il presidente della Colombia Juan Manuel Santos e il leader delle FARC Timoleón Jiménez che prevede un cessate il fuoco tra le due parti entro sei mesi; il 23 giugno 2016, dopo 50 anni di guerra civile, il governo colombiano nazionale e una delegazione delle FARC stipulano un accordo bilaterale definitivo per la cessazione delle ostilità e per la promozione della pace, in presenza di Raúl Castro e Ban Ki-moon.  Nell’agosto 2016 viene confermato pubblicamente l’accordo dai negoziatori delle due parti, il presidente Manuel Santos e il comandante dei guerriglieri del Bloque Caribe de las FARC Iván Márquez, concludendo il negoziato; l’accordo viene ratificato in seguito ad un referendum popolare.  A Bogotà, la popolazione festeggia con manifestazioni di gioia nei parchi e nelle strade.  Il 2 ottobre 2016 l’accordo è stato sottoposto a referendum nazionale venendo sorprendentemente bocciato dal popolo colombiano con il 50,3% dei voti contrari in opposizione al 49,7% dei voti favorevoli.  Il successivo 24 ottobre è stato firmato un nuovo accordo di pace tra le parti, ratificato definitivamente da parte del parlamento colombiano. Il 28 dicembre 2016 il parlamento colombiano ha approvato una legge che prevede l’amnistia o la grazia ai membri delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia accusati di reati politici.

Ma non bisogna dimenticare anche il problema “ Coca “ che ha condizionato anche la politica del Paese.  I primi gruppi di narcotraficantes nascono nella prima parte degli anni ’70, sono  presenti soprattutto a Medellín e nel centro del Paese, una generazione violenta e criminale ma più attiva e intraprendente della precedente sia in campo economico che politico; gli esponenti più famosi sono Pablo Escobar, il cugino Gustavo Gaviria, i fratelli Juan David, Jorge Luis e Fabio Ochoa Vásquez, Griselda Bianco e Pablo Guinzaglio Arroyave; José Rafael Abelló Silva nella Costa Atlantica.  Con la fine di Escobar e del suo cartello prende il sopravvento il Cartello di Medellin che comanda nel giro della droga fino a metà degli Anni Novanta.  Nel nuovo secolo il Cartello di Norte del Valle, è l’organizzazione criminale più grande del Paese, che regge fino al 2008 quando tra azioni dell’esercito e guerre intestine al gruppo, i capi vengono uccisi o arrestati, come Daniel Barrera, alias El Loco Barrera, l’ultimo grande capo della droga in Colombia, arrestato a San Cristóbal (Venezuela) nel 2012, con l’aiuto delle autorità venezuelane e l’intelligence statunitense e britannica.  Adesso il narcotraffico è ancora molto attivo ma meno invasivo anche nella storia quotidiana del Paese, l’ultimo gruppo importante è Clan Úsuga o Clan del Golfo ( conosciuti come Los Urabeños );il capo è Dairo Antonio Úsuga David, alias Otoniel, assieme ai membri del suo Stato Maggiore e Juan de Dios Úsuga David.

I partiti in Colombia sono moltissimi e spesso si coalizzano, i più rappresentativi sono il Partito Centro Democratico alleato con altri 9 partiti ( di ispirazione conservatrice o liberale o di destra ) che hanno formato la Grande Alleanza Colombia guidata dal candidato Ivan Duque e La Grande Coalizione per la Pace con il partito guida Colombia Humana ( con l’alleanza con altri ( partiti, tra cui quello comunista e quello indigeno ) e guidata dal candidato Gustavo Petro; poi ci sono altre tre coalizioni.  Il Presidente eletto è Ivan Duque che ha ottenuto il 39,34% dei voti ed ha sostituito il presidente Juan Manuel  Santos, premio Nobel per la pace per aver firmato l’accordo definitivo con le FARC; mentre Petro Urrego ha avuto il 25,08%.  Terzo è giunto il professore universitario e matematico Sergio Fajardo Valderrama  – che è stato sindaco di Medellin dal 2004 al 2007 – che ha ottenuto il 23,78% con il suo raggruppamento moderato Compromesso Cittadino.

 

In Brasile

Il 7 ottobre del 2018 ci sono state le elezioni nel più grande Paese dell’America Latina, il ballottaggio si è svolto il 28 di ottobre, tra l’ex militare Jair Bolsonaro del P.S.L. – partito ultra conservatore – e il professore Fernando Haddad del P.T. ( partito di sinistra ); come tutti sanno l’ex militare Bolsonaro ha vinto ottenendo il 55,13% dei voti contro il 44,87.  Era la prima volta che si eleggevano contemporaneamente il Presidente, il Vice presidente, il Congresso Nazionale, l’Assemblea Legislativa statale, la Camera Legislativa del Distretto Federale, i Governatori e i Vicegovernatori.  Ma bisogna tornare un attimo indietro nel tempo, per ricordare cosa è successo negli ultimi anni in Brasile, per 13 anni la Presidenza è andata al Partito dei Lavoratori ( un partito fortemente di sinistra ma in cui ci sono anche cristiano sociali, socialdemocratici e comunisti fuori dal P.C.B. ), due volte come capo dello stato c’è stato Inacio Lula da Silva e poi da Dilma Rousseff.  Il 31 agosto del 2016 la Presidentessa ha subito l’impeachment per corruzione – che lei ha ritenuto ‘ tecnicamente ‘ un golpe -, accusa per cui non sarà tuttavia mai processata; arresto che invece ha subito Lula, fino alla condanna definitiva a dodici anni per corruzione ( nonostante che un serrato e capillare setaccio nella vita economica  di Lula e dei suoi familiari non abbia trovato un centesimo di troppo nei conti, e l’ unica accusa rimasta è di aver ottenuto un piccolo appartamento in una località balneare, accusa in base a elementi pressoché indiziari fatti da un pentito in seconda battuta – tant’è, che proprio domenica scorsa Il blog The Intercept pubblica delle conversazioni private via Telegram tra il procuratore Deltan Dallagnol e il giudice Sergio Moro, ora ministro della Giustizia nel governo Bolsonaro, in cui si disvela l’obiettivo tutto politico della condanna per corruzione di Lula ).  In questo contesto si sono svolte le elezioni, con Lula che si è dovuto ritirare dalla contesa elettorale e il candidato Bolsonaro che ha subito un attentato durante un comizio ricevendo una coltellata da un simpatizzante di sinistra.  Ma ritorniamo per un’ultima volta indietro nel tempo, il 3 dicembre 2015, la Camera dei Deputati ha intrapreso la procedura di messa in stato d’accusa della Presidente Rousseff, formalizzata poi con la votazione del 17 aprile 2016, 367 sì e 137 no, autorizzando poi il successivo passaggio al Senato, per l’accusa di aver truccato i dati sul deficit di bilancio annuale.  Dopo mesi di scontro politico in cui la Rousseff si è difesa strenuamente, ha perso l’appoggio dei partiti alleati e il 12 maggio 2016 il Senato, con 55 voti contro 22, la sospende dalla carica di Presidente; l’incarico è assunto dal vice, Michel Temer che sarà successivamente indicato da alcuni pentiti dell’inchiesta Lava Jato, la Mani pulite brasiliana, come beneficiario di mazzette derivanti dallo scandalo dei fondi neri Petrobras.

Se le accuse contro Lula e contro Dilma Rousseff hanno dato adito a vari dubbi, tenendo anche conto dell’enorme corruzione in cui ha sempre vissuto non solo la classe politica brasiliana ( basti ricordare gli ultimi Presidenti del secolo scorso da Collor de Mello dimessosi per le accuse di corruzione, evasione fiscale ed esportazioni di capitali all’estero e al moderato Fernando Henrique Cardoso del P.S.D.B. che ha fatto precipitare il Paese in una gravissima recessione, fino all’ultimo Presidente Michel Temer coinvolto nello scandalo “ Il Vaso di Pandora ), in realtà la crisi economica mondiale e la forte insicurezza con bande criminali nel Paese hanno scosso negli ultimi anni il popolo brasiliano ( secondo la maggior parte dei dati, il Brasile ha tassi di criminalità molto alti, tra cui omicidi e furti; il tasso di omicidi è di 30-35 omicidi ogni 100.000 abitanti, che posizionano il Brasile tra i 20 paesi con il più alto tasso di omicidi.  Il crimine è dovuto alla povertà, alla droga e all’alcolismo.  In più il Brasile è un forte importatore di cocaina, e fa parte delle rotte internazionali della droga.  Armi e marijuana invece sono per lo più create in loco.  La nuova recessione ha avuto un forte impatto, il P.i.l. si è contratto fino a giungere al – 3,8%, aumentando la disoccupazione del + 8%, quindi i consumi familiari – a confronto dei tempi di Lula – sono scesi del 4,4%, “ nessuno compra e nessuno vende “ ha scritto il più importante giornale economico del Paese.  Anche l’agricoltura che sembrava non poter subire crisi patisce un forte rallentamento che è giunto in un anno a -6,3%.

In questa forte crisi si è anche inserito la caduta della moneta che si è svalutata fino al 34%; e lo scandalo della Petrobras, con l’inchiesta Lava Jato ( autolavaggio ) che ha visto coinvolta tutta la classe politica brasiliana; ma non bisogna dimenticare infine le enormi spese affrontate per le Olimpiadi e i campionati del mondo di calcio.

E con tutte queste condizioni sociali, economiche e politiche che Jair Bolsanero è riuscito a vincere nettamente le elezioni nonostante le sue affermazioni sulle donne, i diritti delle minoranze e la difesa e l’apprezzamento per i militari golpisti degli Anni Sessanta.  L’ex militare con idee di estrema destra, apertamente omofobo.  Per molti è il Trump del Brasile e lui afferma che Donald “ sta facendo un eccellente lavoro governativo, riducendo le tasse, perché non si può continuare con questa socialdemocrazia “.

 

In Bolivia

La Bolivia è uno dei pochi Paesi del Sudamerica che è ancora guidato dalla sinistra, con l’indio Evo Morales ( assieme al Presidente dell’Ecuador Lenin Moreno ).   Un referendum popolare ha votato contro la possibilità di una sua nuova candidatura ( sarebbe la quarta ), la vittoria dei No è stata del 51,30% contro il 48,70% ma il 28 novembre del 2027 il Tribunale Costituzionale – adducendo una motivazione non proprio limpida, e basandosi sull’articolo 256 della Costituzione – citando la norma sui Diritti Politici della Convenzione Americana dei Diritti Umani, ha dichiarato incostituzionale l’affermazione scritta nel referendum “ per una sola volta in modo continuativo “ e quindi ha autorizzato il Presidente Morales a candidarsi per la quarta volta.  La Presidente del Tribunale Supremo Elettorale, Katia Uriona, ha dichiarato che il referendum resta valido ma ha affermato che 155 giorni prima dei comizi elettorali si pronuncerà definitivamente sulla candidatura del presidente.

Morales continua ad essere molto amato dal popolo indio ma anche da quello delle grandi città, nell’ottobre del 2014 è stato eletto per l terza volta con il 60% dei voti.  Attualmente la Bolivia è uno dei Paesi con lo sviluppo migliore in Sud America avendo triplicato il suo P.i.l.; la povertà è scesa,  dal 36,7% al 16,8% tra il 2005 e il 2015, per quanto riguarda il Coefficiente di Gini, sulle diseguaglianze economiche, l’INE ha sottolineato che la Bolivia è passata da 0,60 al 0,47, e fatto non meno significativo ha rotto le barriere di razzismo e di apartheid che i bianchi attraverso le dittature avevano creato con gli indios.

Il 20 ottobre, prossimo si svolgeranno le elezioni per eleggere il nuovo Presidente, il suo Vice, 130 deputati e 36 senatori. Per la Presidenza si candidano ben 9 politici, ma c’è ancora l’incertezza se Morales con il suo partito MAS-IPSP ( Movimento al socialismo ) possa candidarsi.   Gli altri  battono tutti il tasto della sulla non candidabilità, più che su errori politici ed economici dei suoi governi.   Óscar Ortiz Antelo, è un senatore ed è il segretario dell’Alleanza Bolivia dice NO, alleati al Movimento Democratico Sociale e a Piattaforma Cittadina, un gruppo di tendeza conservatrce e liberale.  Poi si candida Félix Patzi, per un breve tempo ministro di Morales, arrestato ben tre volte per essere stato trovato in stato di ubriachezza, quindi è stato espulso nel 2010 dal Mas, e ha fondato  il partito I.P.C.( Integrazione per il Cambio ); oggi si presenta con l’ M.T.S. ( Movimento Terzo Sistema ) ed ha sostenitori nelle campagne.  Carlòos D. Mesa Gisbert è uno scrittore e regista che è stato Presidente della Repubblica per due anni prima di doversi dimettere nel 2005, con il partito M.N.R. ( Movimento Nazionalista Rivoluzionario di tendenza di sinistra ); oggi ha deciso di candidarsi con C.C. ( Comunidad Ciudadana ) ma una parte del partito ha iniziato a criticarlo.  Unica donna, è l’avvocato e dirigente sindacale Ruth Nina del patito PAN-BOL ( Partito di Azione Nazionale Boliviano ).  Altro candidato di tendenza di sinistra è Victor Hugo Cardenas, già vicepresidente boliviano negli anni Novanta come rappresentante del Movimento Rivoluzionario Tupac Katari di Liberazione ( MRTKL ) e il M.N.R., ma è entrato in contrasto nel 2009 con i militante fedeli a Morales che gli hanno bruciato la fazienda ed hanno minacciato la sua famiglia.  Gli ultimi candidati sono Virginio Lema del M.N.R.( Movimento Nazionalista Rivoluzionario ), Israel Franklin Rodriguez per il F.P.V. ( Fronte per la Vittoria ) e l’ex presidente Jaime Paz Zamora del P.D.C. ( Partito della Democrazia Cristiana ) con il sostegno del Movimento della Sinistra Rivoluzionaria.

Secondo alcuni dati il 68% dei boliviani sarebbe oggi contrario alla rielezione di Morales, ma il Presidente ritiene che la decisione del tribunale sia “ rivoluzionaria ” e “ del popolo antimperialista ”.    Ad oggi i sondaggi indicano Carlos Mesa, ex presidente e rappresentante del Paese alla Corte dell’Aja nella vertenza marittima persa contro il Cile, come l’unico avversario con reali chances di vittoria alle prossime presidenziali.  Lunedì scorso è uscito l’ultimo sondaggio, se si fosse votato la settimana scorsa, al primo turno Evo Morales avrebbe ottenuto il 27% dei voti contro il 25 di Carlos  Mesa, ma al ballottaggio Mesa vincerebbe con il 48% contro il 32 di Morales.

 

In Argentina

Dopo la terribile crisi a cavallo del secolo ( che ha visto l’economia tracollare, con l’inflazione e la disoccupazione in forte peggioramento, e il vecchio tasso di cambio 1 a 1 schizzato a quasi 4 pesos per dollaro  ( oggi è 1 a 22 ) con la   conseguenza del diffondere una povertà diffusa che ha portato a scontri di piazza e morti, ma anche alla chiusura delle banche, l’assalto ai negozi e la morte per denutrizione di molti bambini  ) l’economia Argentina e il suo P.i.L. si sono ripresi solo nel 2005 e grazie a politiche anche coraggiose se non azzardate del Presidente Néstor Carlos Kirchner Ostoić e poi di sua moglie Cristina che lo ha sostituito dopo la sua morte; adesso però la crisi è tornata in modo molto pericoloso e aggressivo con una situazione economica che sembra senza uscita e con una crisi di modello di cui la politica ne è parte centrale: anche se di lontano sembra che si parla dell?Italia; c’è un sovraindebitamento, l’inflazione galoppa, il debito pubblico è giunto al quasi 100%.  Secondo gli analisti non si tratta di un incidente di passaggio o di politiche sbagliate del Presidente Macri, né di “ danni collaterali ” mondiali.  Il problema è profondo, è una crisi storica del modo di esercitare il potere che influenza le forme di vivere, produrre e distribuire autorità e ricchezza all’interno delle società ( e tuttavia non bisogna nemmeno dimenticare che fino al 1982 l’Argentina subiva una dittatura ). il modello economico finanziario argentino si è esaurito in un quarto di secolo.  L’unica politica del governo in risposta alla crisi attuale è la firma di un accordo con il Fondo Monetario Internazionale (FMI) per ottenere ulteriori prestiti con l’intento anche di attirare gli investitori per riattivare l’economia.  Si continua con l’indebitamento come motore del funzionamento economico dimenticando che non può essere infinito e che, su queste basi, tutta la struttura crolla quando termina il finanziamento, cosa che può succedere da un anno all’altro.

Anche qui ad ottobre si svolgeranno le presidenziali, le primarie per i vari partiti si svolgeranno l’11 agosto.  Oltre al Presidente e al suo vice verranno eletti 130 deputati, 24 senatori e le autorità esecutiva e legislativa della Città Autonoma di Buenos Aires ( con i suoi 13.479.000 abitanti ) e di varie altre province.   Lo scontro politico risulta stanco e ripetitivo, vede sempre gli stessi contendenti, e per chi non è argentino non del tutto comprensibile, perché i candidati principali siano tutti peronisti e nella contrapposizione ci sono peronisti di destra, di centro e di sinistra, mentre il numero di partiti e partitini sono da Prima Repubblica italiana. Da una parte c’è Uniti per il cambio, una coalizione composta dal Partito Giustizialista ( peronisti di destra ), da Proposta Repubblicana, Coalizione Civica ARI, Partito Democratico Progressista, Partito Fe, Partito del Dialogo, Movimento di Integrazione e Sviluppo e Unione popolare che ha come candidato l’attuale Presidente di origini italiane Mauricio Macri e come vice  Miguel Ángel Pichetto.  Dall’altra c’è Il Fronte di Tutti – in cui si candidano alla Presidenza ben 4 candidati – Alberto Fernandez come Presidente, l’ex Presidente Cristina Elisabet Fernández de Kirchner come Vice, Daniel Scioli ( che  stato governatore di Buenos Aires ) che non ha ancora un suo vice, Sergio Massa del Fronte Rinnovatore ( che nelle precedenti elezioni presidenziali è giunto terzo con oltre il 21% dei voti ) che ha come vice Natalia de la Sota, e Guillermo Moreno con Pablo Challu come vice.  Tutti questi candidati hanno una coalizione di ben 13 partiti che vanno da quello Giustizialista ( peronisti di sinistra ) al Partito Comunista, al Fronte Ampio ad Unidad Popular.   Come terzo incomodo c’è Consenso Federale 2030 – che vede l’unione di Consenso 2019 e Alternativa Federale, raggruppa peronisti anti- Kirchner, ha come candidato Roberto Lavagna e come suo vice Juan Manuel Urtubey, i partiti che sostengono Consenso Federale 2030 sono Generazione per l’incontro Nazionale ( si definiscono socialdemocratici ), Movimento Libres del Sur ( sinistra nazionalista ), Partito Federale, partito Socialista, Partito Democratico Cristiano, Terza Posizione ( partito peronista anticapitalista e anticomunista ) e Partito Celeste e Bianco.  A questi tre blocchi si devono aggiungere Il Fronte di sinistra che candida Nicolás del Caño del PTS ( Partito dei Lavoratori Socialisti ) e come vice Romina del Pià del Patito Operaio di ispirazione trotskista; a questi due raggruppamenti si aggiungono Sinistra Socialista e Movimento Socialista dei Lavoratori. C’è poi Il Fronte del Risveglio con il Partito Libertario di José Luis Espert che non ha ancora un vice ma che è sostenuto dall’Unione Centro Democratico e dal Partito Nazionalista Costituzionale.  C’è Il Fronte Patriota che candida Alejandro Biondini di tendenza neonazista e il suo vice è il tenente colonnello Enrique Venturini.  Per terminare con il Nuovo Movimento al Socialismo di Manuela Castaneira col vice Eduardo Mulhall; Il Partito Autonomista Nazionale con José Antonio Romero Feris; NOS con il maggiore Juan José Gómez Centurión.

Secondo dei sondaggi fatti alcuni mesi fa, al primo turno il presidente Macri dovrebbe ottenere un 5% di volti in più della coalizione della Kirchner e quindi si dovrebbe andare al ballottaggio tra la destra peronista e la sinistra peronista con un lieve vantaggio er il Presidente attuale nonostante la crisi economica e sociale.

 

Oltre un anno fa nell’aprile del 2018 in Cile l’imprenditore Miguel Juan Sebastian Pinera Echenique, leader del partito di destra Rinnovamento nazionale – e già presidente del Cile dal 2010 al 2014 – è tornato alla guida del Paese, sconfiggendo Michelle Bachelet ( Partito Socialista del Cile ).

A maggio in Costa Rica: Carlos Alvarado Quesada del Partito azione cittadina, di centro-destra è stato eletto prendendo il posto del collega Luis Guillermo Solis.

Nello stesso anno in agosto, in Paraguay le elezioni presidenziali sono state vinte da Mario Abdo Benítez del ‘ Partito Colorato ‘, nato nel XIX secolo come formazione di tendenze socialiste, poi trasformatosi in formazione nazionalista durante la dittatura e, tornata la democrazia, convertitosi in partito liberal conservatore.

In Perù, nel marzo 2018 Martin Vizcarra per Peruviani per il cambiamento, di centro-destra è stato eletto presidente, subentrando al collega di partito, l’economista Pedro Pablo Kuczynski.

A Cuba, tramontata l’era Castro, durata quasi 60 anni, nel maggio 2018 l’Assemblea nazionale cubana ha eletto presidente Miguel Diaz-Canel, ingegnere elettronico di 57 anni, esponente della generazione di leader post-rivoluzionari, che ha preso il posto del 86enne Raul Castro

In Venezuela, Nicolas Maduro, sindacalista e leader del Partito Socialista Unito del Venezuela, al potere dal 2013, è stato rieletto nel maggio 2018, al termine di contestatissime elezioni presidenziali, con un alto astensionismo ( superiore al 50% ), dichiarate illegittime dai suoi oppositori.  È alle prese con una crisi politica, socio-economica e diplomatica senza precedenti.

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