Infine, era arrivata a pesare poco più di 25 chili, una creatura di carta, con l’esigenza di tradurre la propria vita in una metafora agghiacciante: una nuvola di effimere. L’hanno raccolta per strada a Parigi; da tempo soffriva di disturbi mentali, la memoria ondeggiava, disfatta dall’abuso alcolico; era stata la paladina dei modernist, si credeva la sovrana di Bisanzio, aveva un viso egizio: poteva essere nata diecimila anni fa. Due mesi prima era morto Thomas S. Eliot, uno dei tanti amanti, “per una notte soltanto, nell’estate del ’22: anche se la disapprovava, e la considerava una tentatrice” (così Eleonora Barbiere, in un bel ritratto pubblicato qualche anno fa sul “Giornale”). Stava per sbocciare la primavera, Nancy Cunard fu portata all’Hôpital Cochin, morì poco dopo, mero grumo di briciole, mirava a sparire, le sue ceneri sono al Père-Lachaise. Donna dalla bellezza schiacciante, irritante, regale; dimostrò, disfacendosi in falena, la fatale vanità di un’epoca.

Figlia di un baronetto erede di una ricchissima famiglia di imprenditori navali, padroni della Cunard Line, esteta del polo e della caccia alla volpe, e di una ereditiera americana, Nancy, nata a Londra del 1896, fu educata in Francia, in Germania, fino a che, recalcitrante, mollò tutti. Era intraprendente, indipendente, libertina, ricca: insomma, una donna pericolosissima. A vent’anni, per sport, sposò un asso del cricket, Sydney Fairbairn, da cui divorziò poco dopo: nel frattempo, aveva una relazione con un soldato (morto al fronte), accoglieva le attenzioni di un vasto stuolo di ammiratori. Tra tutti, fu amata da Aldous Huxley, che la trasfigura in diversi romanzi – ad esempio, nella Lucy Tantamount di Punto contro punto – e da Louis Aragon; nel contempo, girava con Eugene McCown, artista, pianista, estremista. Teneva gli uomini al guinzaglio, Nancy, posava come modella, imponeva mode: le piacevano le fogge e i monili africani, s’inventò il “look barbarico”, esagerava – lei, una falena – la propria indole selvaggia, leonina. Nelle fotografie ha rossetti eccessivi, occhi sottolineati di nero, una severità maschia.

Che non sia ancora stata imbracciata dall’editoria nostra è un mistero: Nancy è stata il prototipo della ricca, audace, talentuosa, impegnata nel ‘sociale’. Si diceva anarchica, fu antifascista, lottò contro i pregiudizi razziali (subendo un colosseo di pernacchie). A differenza di tanti, Nancy non si limitava ai fatui proclami: soffrì tutto, tutto amò. Nel 1928 si unisce a Henry Crowder, musicista jazz afroamericano, sbarca ad Harlem, fa sua la battaglia per i diritti civili dei neri, pubblicando Black Man and White Ladyship e Negro Anthology una collezione di poesia afroamericana. Tornata in Europa, mobilita una falange di intellettuali a supporto dei repubblicani spagnoli: nel 1937, insieme a Pablo Neruda, cura un’antologia partigiana, Los poetas del mundo defienden al pueblo español; sulla “Left Review” pubblica un’inchiesta poderosa sull’impegno degli scrittori nella Guerra civile di Spagna. Capitolano un po’ tutti di fronte al fascino spregiudicato di Nancy: Auden, Beckett, Rebecca West, H.G. Wells; Joyce si defila, dichiarandosi neutrale, George Orwell è l’unico che la manda, cavallerescamente, a cagare: “Ti prego, evitami simili spazzature… Non sono uno dei tuoi fiori alla moda come Auden o Spender, sono stato sei mesi in Spagna, ho litigato con tutti, un proiettile lo dimostra, e non starò qui a scrivere una manciata di bla bla sulla difesa della democrazia e idiozie galanti di quel tipo…”.

Ovviamente, fece la Resistenza, in Francia; non si tirò indietro, investì le proprie finanze inseguendo vaghe utopie. Era bella anche al torchio: in quel caso, vestiva da maschio, indossava la cravatta. Nel 1928, in Normandia, aveva fondato la Hours Press col desiderio di “pubblicare i poeti impubblicabili”. In quattro anni allineò ventiquattro titoli, quasi tutti indimenticabili, da Whoroscope di Samuel Beckett ai XXX Cantos di Ezra Pound – il più lunare dei suoi amanti –; pubblicò poesie di Robert Graves e di Roy Campbell (che in Spagna avrebbe gareggiato coi franchisti), Richard Aldington, Laura Riding, le traduzioni di Lewis Carroll a cura di Aragon, testi di Norman Douglas e di Brian Howard. Le plaquette erano adornate da opere di Man Ray e Mirό, di Yves Tanguy e Dalí. Prima che polemista, va detto, la Cunard fu poetessa: i primi libri li pubblica a Parigi, un secolo fa; Parallax è edito nel 1925 dalla Hogarth Press dei coniugi Woolf (nello stesso anno Virginia pubblica The Common Reader, l’anno prima avevano stampato la prima edizione inglese, in forma libraria, di The Waste Land). Autentico, inclassificabile ‘classico’, i Selected Poems di Nancy Cunard sono stati pubblicati da Carcanet nel 2016: da lì sono tratte le poesie, finora inedite in Italia, tradotte in questa pagina da Annalisa Crea.   

Dopo la Seconda guerra, viaggiò, forse per dimenticarsi di sé, nelle Indie occidentali britanniche; finì per ritirarsi in Dordogna: il mondo non le offriva più battaglie degne di essere percorse con sfrenata enfasi; non aveva più un posto per lei. La bellezza sfinì nel disastro mentale. Mina Loy, amica, donna fatale, le aveva dedicato un brevissimo ritratto in versi: “Il muro vermiglio/ si ritrae come un vizio/ davanti al tuo candore lunare/ la tua voce è come uno chiffon”. Lo tenne per sé, nel timore di un sortilegio. Come si sa, le falene hanno il nitore dell’angelo, l’evanescenza indimenticabile delle promesse a metà, rincorse.

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Preghiera

Oh Dio, fammi incapace di preghiera,
Troppo animosa per supplicare, troppo granitica
Per sentire lo sfregio del pericolo! Fa’ che il mio cuore
Si rinsaldi sì da reggere il dolore,
E che io soffra da me, senza perdite.
Che io sorregga da sola il vecchio mondo
Su spalle più possenti dell’Atlante.
Fammi simbolicamente iconoclasta.
L’Anticristo ideale, il Paradosso.

*

Trasmutazione

Questa trasmutazione del visibile
In sentimenti inconsci del passato,
E l’insistenza dell’autunno languido,
Misterioso vapore, latente colore
Di nubi umide, come un volto sgomento.
Respiriamo ricordi, e l’infinita perdita
Dell’estate – I silenzi sono un dolore muto,
Lungo e rapace, intessuto di lacrime
Venute da regioni inesplorate, ignote
Alla coscienza; questo è un giorno istintivo,
Senza tempo ma struggente, solennemente sottomesso –
Siamo prigionieri del cielo e della terra,
Ostaggi dolenti della memoria.

*

Ecco l’autunno

Ecco l’autunno che arriva a passi spogli
E gesti burberi, la pioggia è in cielo.
Nella casetta sospirano sogni
Che non durano più d’un inquieto minuto,
Ma sempre si levano come fragili foglie
Così immobili prima che si sveglino i venti;
La tempesta le scaccia dalla remota foresta
E dai miei meli – foglie di rimpianto.
Non c’è alcun piano in quest’ora autunnale
Che rimugina in grigia fulgida incertezza
Sotto un cielo di nubi pronto alla battaglia.
Tutto mi urla: “Prepàrati a fuggire
Senza addii dalle bufere incombenti,
Affrettati prima che cadano le mele tremanti;
Le foglie mutano, e questi giorni finiranno
Quando l’ultimo frutto si staccherà dall’albero.”
Eppure preferirei ascoltare i venti
Che avvolgeranno questo declino, davvero
L’estremo addio è vicino.

*

Se stasera

Respira la notte brumosa, è tempo
Di accendere prima dell’alba candele abbandonate
Ansiose di sentire le nostre ultime filosofie.
C’è un canto nel mio cuore, un richiamo
A tutta la sommessa inquietudine autunnale –
Se col bicchiere pieno noi parlassimo,
Discorressimo di queste cose, svelassimo altri pensieri,
Dipanando il tesoro ravvolto delle nostre fantasie?
La falena dalle ali chiuse nella stanza
E i pipistrelli selvatici del buio, nessun altro ospite
Verrà al nostro simposio; ti sento dire:
Toccheremmo profondità insondate
Scendendo nei cunicoli dei nostri umori
Seminando pensieri sul silenzio – No,
non mieteremo verità se non nei sogni
Che al risveglio terminano sulla parola “forse”.

Nancy Cunard

*La traduzione e la scelta delle poesie sono di Annalisa Crea

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