Abbiamo visto Habemus Papam diretto da Nanni Moretti.
Mercedes Sosa nel film ci canta Cambia Todo… en este mundo, ed in effetti in questi trent’anni è cambiato veramente tutto. La meravigliosa cantante indio-argentina ci ha anche lasciati l’anno scorso di questi tempi. E naturalmente è cambiato anche Moretti, ma purtroppo non in meglio. Vi ricordate Ecce Bombo? Quando Moretti-Apicella era antipatico, asociale e urlava ad un ignaro cliente di un bar “Ti piace Sordi? Te lo meriti Sordi!” Era già allora il (ragazzo) borghese di Monteverde preoccupato se lo si notava meglio se veniva alla festa o se non veniva. Ma aveva una carica innovativa, nevrotica, dissenziente in quegli anni a cavallo tra terrorismo-crepuscolare e voglia di edonismo da periferia. Crescendo Moretti ha fatto una serie di film (dodici in tutto) alcuni riusciti altri meno, l’ultimo Il Caimano veramente imbarazzante se non fosse stato per il titolo (che i giornali usano molto, quindi trendy) e per un finale premonitore: Lui-Berlusconi che esce dal palazzo di giustizia e arringa ai suoi che poi assaltano il palazzo. Ecco, Moretti più che un grande regista o un grande sceneggiatore, è un autore dal fervido intuito, di intelligenza indubbia e dai colpi di estro arguto. Come si potrebbe negare che frasi come “D’Alema, dì una cosa di sinistra, dì una cosa anche non di sinistra, di civiltà…” non sia intuitiva ed efficace (anche se non del tutto vera); o “Io credo nelle persone, però non credo nella maggioranza delle persone. Mi sa che mi troverò sempre a mio agio e d’accordo con una minoranza… e quindi…”; o “VOI gridavate cose orrende e violentissime e VOI siete imbruttiti. IO gridavo cose giuste e ora sono uno splendido quarantenne” non siano effervescenti, ironiche e lasciano una traccia. Ma anche queste battute-feticcio, queste intuizioni che raccontano uno stato d’essere comune, negli ultimi due film non le riusciamo a tracciare e ricordare, anche quella che dice nel Caimano “Caro Bruno, siete un popolo a metà tra orrore e folclore” sa più di moralismo che di sbeffeggio.

Habemus Papam ci ha dato l’impressione di una danza immobile, di una storia che gira su se stessa senza trovare profondità o sincerità, che non si sa cosa voglia scoprire o dire. Parte con una ‘trovata’ originale (sul genere Il discorso del re, sono entrambi due uomini senza qualità, con un passato che è passato senza sussulti ma affrontano l’incarico sociale in modo molto diverso. In entrambi i film i personaggi sono ben poco delineati nei loro disagi e malesseri e c’è un accondiscendenza verso personaggi potenti senza alcuna critica storica o sociale) e basta, si trascina per 100 minuti circa tra ripetizioni, qualche battuta facile-facile da salotto molto per bene e qualche divertissement morettiano come l’organizzazione di un torneo di pallavolo tra cardinali in attesa che il nuovo Papa si decida a fare il Papa.

Sembra più un sogno di Moretti che non un film, e sappiamo che quando ci risvegliamo non riusciamo a raccontarlo per come lo ricordavamo. Un errore che troviamo ‘grave’ – e non perché non ci sia il racconto della Chiesa dall’interno – ma perché tutti i cardinali sembrano dei vecchietti bonaccioni, lontani da qualsiasi desiderio di potere e desiderosi solo che un altro diventi Papa: siamo più dalle parti di Villa Arzilla che dal luogo in cui partono encicliche e condizionamenti sugli esseri umani di mezzo mondo. I cardinali sono tutti uguali, tutti sorridenti, tutti modesti e soli, e sognano un cappuccino e di fare una passeggiata; in questo ‘mulino bianco’ azzardiamo che se Silvio B. entrasse in Vaticano in quattro e quattr’otto diventerebbe Papa.

Anche l’altro mondo presentato e contrapposto alla Chiesa, quello della psicanalisi è poca cosa, preso vagamente in giro e poco decifrabile: c’è Moretti che ‘prigioniero’ in Vaticano invece di fare qualcosa per il Papa organizza tornei senza comprendere nulla di quello che sta succedendo e la sua ex moglie “la seconda psicanalista di Roma” (Margherita Buy) che lo ha lasciato per invidia ed è fissata con l’abbandono infantile e non vuole dire ai figli piccoli che sanno tutto che ha un nuovo compagno.

Il film inizia con la morte del Papa e continua con il rito del Conclave per eleggere il nuovo. Sembra di vedere in movimento la vignetta di Forattini: quella del conclave che elesse Giovanni Paolo II dopo la morte di Papa Luciani, tutti i Cardinali di spalle che fanno con le dita lo scongiuro per non essere eletti. Senza sapere come, tutti i voti finiscono, dopo vari tentativi, sul Cardinale francese Melville che fino a quel momento sembra essere sopito nel suo scranno; sempre un po’ intontito e svagato accetta la nomina mentre il popolo cattolico aspetta festante di vedere il nuovo Papa. Il protodiacono si affaccia alla finestra e dà l’annuncio in varie lingue dell’Habemus Papam, ma le parole vengono spezzato da un urlo improvviso. I Cardinali imbarazzati non possono fare altro che indietreggiare e scomparire dalla finestra. Il Cardinal Melville sembra aver cambiato idea, ma non ha il coraggio di dire di no, prende tempo. Allora convocano il miglior psicanalista di Roma e Moretti compare nelle stanze vaticane, cerca un contatto col nuovo Papa ma è solo un approccio per far sorridere il pubblico. Il Papa è sempre più silenzioso e imprevedibile e riesce in borghese a uscire dal Vaticano, andare da una psicanalista, ex moglie di Moretti, e poi a sparire alla sua scorta e iniziare a vivere ‘sulla strada’ cercando risposte che tuttavia sembra non trovare. Mentre Cardinal Melville finisce in un albergo in cui conosce una compagnia di teatro che recita Checov e si accoda a loro, nelle stanze del Vaticano i Cardinali ammazzano il tempo giocando a carte o facendo puzzle e accettando il torneo di Pallavolo organizzando dallo psicologo Brezzi. Finalmente Melville ritorna in Vaticano grazie ad uno stratagemma dei Cardinali ma…

E’ un film che stranamente non ha una vera centralità, risulta superficiale, bonario, tenendo in conto dei temi “alti” e assoluti che vuole trattare; Moretti attore ha un ruolo marginale se non cazzaro ed è involontariamente invasivo, ingombrante e gigionesco (tutte quelle faccette che fa durante il torneo) e la battuta tra l’autocritico e l’autoelogiativo (“Sono il più bravo? È una condanna, me lo dicono tutti”) è più da refettorio che non da Festival di Cannes; l’ex moglie psicanalista ha un ruolo-non ruolo che fa solo collegamento e pretesto e così il mondo degli psicanalisti; solo la grande bravura di Michel Piccoli risalta in un film dalle grandi promesse e dal risultato modesto.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *