Abbiamo visto Offside diretto da Jafar Panahi.
Dopo oltre cinque anni esce in Italia un piccolo film iraniano grazie alla Bolero film (una piccola distribuzione fondata nel 2008 a cui dobbiamo film necessari e preziosi come Un gelido inverno, Le stelle inquiete film da poco usciti nelle sale e 14 kilometros, La nana, Tornando a casa per Natale, Afterscool e parecchi altri, hanno 22 pellicole nel listino: Bravi!) che ha ottenuto nel 2006 l’Orso d’Argento al Festival di Berlino.

Forse più del film è importante parlare del suo regista (lo abbiamo già fatto quando abbiamo recensito film iraniani), nel 2009 è stato arrestato dal regime iraniano mentre era al cimitero di Teheran per una visita funebre, gli è stato ritirato il passaporto e quindi obbligato a non poter uscire dal Paese. Liberato e arrestato di nuovo nel 2010 assieme a quindici suoi amici, sua moglie e sua figlia, resta in carcere e subisce un processo con accuse gravi come “Attentato alla sicurezza nazionale”, “Propaganda contro il sistema” e “Collaborazione con potenze straniere”. E’ stato condannato nel dicembre scorso a sei anni di carcere e per venti anni non potrà fare film e rilasciare interviste ai media. Certo, potrà recarsi in pellegrinaggio a La Mecca e quindi il regime gli dà una via di fuga che però crediamo che Panahi non voglia intraprendere. Jafar è uomo combattivo e coerente e al suo processo ha dichiarato molte cose poco concilianti (potrete ritrovare il testo completo su Le Monde di Novembre 2010) tra cui “Il raid effettuato a casa mia, la mia incarcerazione e quella dei miei collaboratori simbolizzano l’attentato del potere contro tutti gli artisti del Paese (…) Processarci sarebbe come processare l’intero cinema impegnato nel sociale e nell’umanitario iraniano. (…) Siamo stati colpiti dalla censura ma è la prima volta che un regista viene condannato per impedirgli di fare il suo film”. In questi tempi cupi, affollati e addormentati non restano che le lacrime di Juliette Binoche al Festival di Cannes, la dichiarazione letta da Bernardo Bertolucci a Roma, la petizione dei registi internazionali e la sedia vuota tra i giurati del Festival di Berlino. Dai politici occidentali niente, Panahi non è un buon pretesto per andare a bombardare in nome della democrazia. L’insensatezza e “l’orrore” (alla Kurz, di Apocalypse Now) la potrete constatare andando a leggere la filmografia del regista -Il palloncino bianco ( 1995 ); una bimbetta ha dalla madre una banconota per comprarsi un pesciolino bianco, la banconota finisce in un tombino: non sarà facile recuperarla. Lo Specchio ( 1997 ); una bambina la cui madre non è arrivata in orario a prenderla a scuola decide di tornare a casa da sola. Il cerchio ( 2000 ); otto storie quotidiane di donne nella Teheran di oggi. Oro rosso ( 2003 ); due amici, uno ha fatto anche la guerra, vivono nell’indigenza ma sono a stretto contatto con l’opulenza della borghesia iraniana e allora decidono di fare una rapina- e/o andando a vedere questo film del 2006.

In Iran le donne non possono andare allo stadio, se lo fanno rischiano l’arresto se scoperte. Ma alcune giovani donne ci provano camuffandosi da uomo. Il film inizia con un povero padre, malmesso se non anziano, che disperato cerca, facendosi dare un passaggio da un taxista, sua figlia universitaria che è salita su un autobus con altri tifosi per andare a vedere la partita decisiva per l’Iran per accedere al campionato del mondo del 2006 in Germania. (lo spunto della storia nasce da un fatto accaduto al regista, sua figlia voleva andare ad assistere agli allenamenti della sua squadra e ci riesce nonostante i divieti). Invece, lasciato l’uomo, seguiamo un’altra ragazza che riesce ad arrivare allo stadio con un cappellaccio in testa e i colori della nazionale dipinti sul viso, riesce a comprare un biglietto e prova ad entrare, ma al controllo viene facilmente riconosciuta, fermata e portata in un recinto dove si trovano altre ragazze. Qui aspetta con le altre la fine della partita per essere portate in caserma e ascoltano le voci e le urla dei tifosi senza poter né vedere né sapere cosa stia succedendo in campo. E a questo devono aggiungere dei soprusi dei giovani soldati preoccupati di non farsi coinvolgere dalla voglia di calcio delle ragazze perché altrimenti rischiano una ferma militare più lunga. Alla fine della partita, le ragazze vengono caricate su un furgone per essere portate in caserma, ma per loro fortuna la città è in festa perché la nazionale di calcio ha vinto la partita e quindi nel tripudio generale…

Una storia semplicissima e lineare, una regia asciutta e fin troppo essenziale che percorre la strada del nostro neorealismo ma con una vena ironica in alcuni passaggi, un cast perfetto per un film che viene da lontano.

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