Nato nel 1949, “Paris-Match” piglia spunto da “Match”, giornale sportivo, poi di costume – si conta una copertina di Salvador Dalí – durato fino al 1940. Fondato da Jean Prouvost e da Paul Gordeaux, il giornale ascese alle vette dell’informazione – fuori di metafora – l’anno dopo, seguendo la spedizione francese sull’Annapurna, ‘vinto’ nel 1950 da Maurice Herzog, alpinista di genio. Caratterizzato da copertine ‘urlate’, “Paris-Match” vende mezzo milione di copie a settimana, fa parte del gruppo Lagardère. Insomma, l’anno scorso la testata ha festeggiato 70 anni. Con un botto. Il dialogo intrecciato tra Michel Houellebecq e Gilles Martin-Chauffier, scrittore – ha vinto un paio di Prix Renaudot – e redattore capo dell’inserto culturale di “Paris-Match”. Da quel dialogo, abbiamo estratto alcune parti del discorso di Houellebecq dedicate a una sorta di esame di coscienza politico. Di norma, Houellebecq ha preferito, da quando ne ha avuto il diritto, astenersi dal voto. Caduto in tentazione, per così dire, le sue preferenze, negli anni, sono andate al neogollista Balladur e ai conservatori euroscettici Philippe de Villiers e Charles Pasqua. Naturalmente, lo scrittore si è pentito delle sue scelte, delle sue debolezze. Paladino della libertà individuale contro lo Stato coercitivo, che agita la gogna burocratica, Houellebecq, insomma, non si sente responsabile dello stato della civiltà presente, neopuritana, igienista, esangue e al contempo violenta.

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Grazie al mio lavoro mi sono conquistato la reputazione di reazionario e declinista. Non esito a consolidarla dicendo che, sì, per molti versi si stava meglio prima. Dopodiché, non ho detto molto, perché dipende cosa intendiamo per “prima”. Di rado ci si riferisce, immagino, all’alto medioevo, alle guerre napoleoniche. Dubito perfino che si possa provare autentica nostalgia per la Belle Époque, civiltà strana, incomprensibile dalle rovine in cui viviamo. La nostalgia è un sentimento attivo, più vicino alla rivolta di quanto si possa immaginare. Non possiamo essere gelosi di uno status che ci pare inaccessibile, non possiamo provare nostalgia di un tempo di cui non si ha, nemmeno fugacemente, idea di come si vivesse. Di norma, abbiamo nostalgia della nostra infanzia – o dell’adolescenza. C’è, ovviamente, il pregiudizio, che può alterare il giudizio. Ne ho tenuto conto parlando con diversi giovani. La loro testimonianza ha rinforzato la mia convinzione: è stato meglio essere giovani negli anni Settanta. Allo stesso tempo, i giovani si rivolgono a noi in questo modo: “Hai più di sessant’anni, sei, almeno in parte, responsabile del mondo di merda in cui vivo”. Un severo rimprovero.

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Dico subito una cosa: non mi sento responsabile per questo stato di cose. Non ho mai votato per Giscard né per Mitterand, tanto meno per Chirac. In assenza di buoni candidati, ho preferito astenermi. Per chi ho votato in questi anni? Ricordo Édouard Balladur. Ricordo di aver votato per Philippe de Villiers e Charles Pasqua. L’astensione non è piacevole e la voglia di partecipare nonostante tutto al “gioco democratico” mi ha portato a votare occasionalmente alle elezioni europee. Oggi me ne pento. Sostenitore della democrazia diretta, in linea di principio sono contrario all’elezione di rappresentanti, ancor più se riguardano alcune istituzioni europee. Votare alle europee è una specie di assurdità al quadrato per me. Della costruzione europea mi sento pressoché innocente. Anche di altre cose posso scagionarmi. Non sono mai andato in estasi leggendo dei risultati pratici di Mao Tse-tung, non ho mai danzato sull’asfalto parigino inneggiando “Ho! Ho! Ho Chi Minh!”. Non avendo un passato di sinistra da farmi perdonare, mi sono guardato bene dallo scrivere sciocchezze monetariste, in voga durante l’era Reagan-Thatcher. D’altronde, non approvo le varie avventure belliche con cui gli Stati Uniti hanno insanguinato il mondo. Se il livello di pericolo è aumentato nell’Europa occidentale, è quasi esclusivamente colpa degli Stati Uniti (l’intervento in Afghanistan ha creato Al-Qaeda, l’intervento in Iraq ha partorito Daesh). Degli Stati Uniti – e dei loro complici.

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Non solo ho pubblicati diversi libri etichettati (grossolanamente) come pornografici, ma ho suscitato l’ira di varie femministe, tra le più sciocche nel loro genere. Non ne ho alcun merito, è stato facile, non ho fatto altro che il mio dovere. Incolpevole di ogni esasperazione femminista, lo sono anche dell’igienismo, l’altra faccia (la peggiore) del neopuritanesimo che avvolge questo nostro infelice Paese. Molte volte mi sono messo al volante quando ero leggermente ubriaco. Ho costantemente, e non senza coraggio, resistito all’interdizione di fumare nei luoghi pubblici… Senza essere un fan delle droghe non legalizzate, ne ho fatto uso. Infine, ho fatto ricorso alla prostituzione, in più occasioni (non più di tanto, anzi, mi ero addirittura astenuto, in Francia è organizzata davvero male, ma la legge che punisce i clienti mi ha obbligato a ricominciare, almeno una volta). Insomma, ho fatto del mio meglio per lottare contro leggi che mi sembravano contrarie alla mia concezione della libertà individuale.

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Sul disgustoso moltiplicarsi di controlli, diagnosi, regolamenti, norme che stanno trasformando la nostra vita in una interminabile Via Crucis amministrativa, le mie possibilità di azione sono sempre state nulle. Insomma, esco da questa specie di esame di coscienza limpido, non mi sento responsabile del soffocamento legislativo che ha gradualmente trasformato la Francia in uno dei paesi più invivibili del mondo occidentale.

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