( D ) Parliamo del tuo nuovo romanzo “ Il senso di una vita immaginata “  Che titolo!  Non proprio semplice.

( R ) …  Un titolo non semplice, vero.   Può interessare un lettore attento che non cerca il puro svago nella lettura.

 

Il romanzo invece è scorrevolissimo, si legge con grande facilità nonostante cerchi in molte descrizioni-riflessioni il senso della vita che sfugge continuamente.    

Grazie, che complimento.  Probabilmente perché in fondo la storia è semplice nel suo svolgimento e anche perché mi sono dato dei tempi lunghi per scrivere,   più di tre anni, e a volte sono rimasto ad aspettare una frase giusta, un aggettivo, una sensazione.  Ho aspettato un sentiment e l’ho trovato emozionalmente anche in posti del tutto opposti a ciò che scrivevo.

 

Lo hai scritto in viaggio, un po’ come è il tuo solito? Alla fine del romanzo indichi la Polinesia, l’Australia e il Cile.

… In realtà viaggio spesso e scrivo nei luoghi più differenti, con questo romanzo poi racconto anche di viaggi, ma mai sono dove mi porta il racconto.  Forse per prendere le distanze dalla mia emotività

 

L’ossatura del romanzo è la storia di un uomo che va a Parigi per scrivere un romanzo su suo padre, morto quando il protagonista è poco più di un bambino.  Vuole scriverlo perché si è reso conto che la sua vita è stata condizionata dalla sua perdita, perché negli anni non è riuscito a metabolizzarla.

Esatto… Va a scrivere a Parigi perché l’unico viaggio che hanno fatto assieme figlio e genitore è stato proprio lì quarant’anni prima.  Ed è stato l’unico momento in cui il ragazzino ha potuto vivere fianco a fianco col padre per più di dieci giorni, conoscerlo e apprendere un modo di essere e fare.  Un padre sfuggente, avventuroso, come direbbe D’André in direzione ostinata e contraria.

 

Tuttavia il romanzo nel romanzo è solo una parte, i temi trattati sono esistenziali come la ricerca dell’individualità, il significato di dove sta andando il mondo, una riflessione sull’esperienza del tempo man mano che la morte si avvicina.  

Sì c’è la ricerca di trovare finalmente una conciliazione con la figura del padre, ma il racconto sono le giornate di un uomo che peregrina per la città e pur stanco della vita non si arrende al modo di vivere dell’uomo moderno con i suoi ripiegamenti, i piccoli tradimenti, un certo cambiamento antropologico.  E poi come è in parte scritto nel quarto di copertina c’è da parte del protagonista un modo di sentire la vita che non è quello degli altri, c’è un’idea del viaggio che stride con i tempi, come l’idea dell’amore, del senso di libertà, L’intuire di cosa il tempo sia composto e del bisogno di fuggire dalle sue costrizioni non solo sociali.   In un’epoca che se non fosse tragica sarebbe ridicola.  E poi c’è molto Parigi, con i suoi angoli, le folate di freddo, il senso di libertà, i suoi scrittori…

 

Un romanzo che prende molte direzioni, le abbandona, ritorna indietro, non rispetta una narrazione classica, eppure c’è una storia d’amore molto chiara e strutturata con un finale forte.

La scelta è stata di scrivere con una scrittura libera, come uno spartito jazz  che prende varie direzioni, a volte improvvise, quasi esplodono in blocchi di parole governati da una idea che è alla ricerca del suo significante. In questo caos controllato ho sentito la necessità di una piccola storia d’amore tra due persone che più diverse non possono essere e l’ho voluta strutturare anche se   non risulta conciliante.

 

Si può dire che per molti aspetti è il tentativo forte di raccontare una condizione umana inquieta, chiusa nella propria interiorità che fa a cazzotti con un mondo esteriore indifferente e impaurito.  

Anche se può sembrare una contraddizione è la rivolta di un uomo che si sente stanco.

 

 Non resta che augurarti un in bocca al lupo e ringraziarti per questa breve chiacchierata.  Vuoi aggiungere qualcosa per i lettori?

Sempre difficile trovare una risposta a domande del genere… Spero che chi leggerà il libro possa trovare qualche risposta a domande che porta in sé da tempo.  Grazie.

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