Si sente dire spesso che le serie tv (americane) sono la nuova letteratura. Di solito, per far ciò, si limita la letteratura a virtuosismi della narrazione e la si priva della sua vera essenza: l’irriducibilità del linguaggio letterario. Altre volte, si incensano scrittori perché sono abili a intrecciare generi diversi, o perché sfoggiano pirotecnici stravolgimenti della diegesi.

Bernard Malamud nel 1957 ha scritto Il commesso (minimum fax, pp. 327, euro 13,50) che in Italia è già stato pubblicato da Einaudi, ma a cui forse molti lettori approderanno ora per la prima volta.

Malamud, ne Il commesso, non stacca mai gli occhi dai suoi personaggi. Non conosce digressioni, non usa flashback, non intesse sottotrame, non smonta la trama, non anticipa ciò che accadrà, ed è molto raro che i protagonisti abbiano anche semplicemente dei ricordi. La vicenda avanza come un ghiacciaio, lenta e inesorabile. Eppure la progressione degli eventi è tale che tiene concentrati fino all’ultima pagina, e in particolare fino all’ultima riga, dove il romanzo contemporaneamente si compie e deflagra. Dalle innovazioni delle serie tv americane, Malamud (morto nel 1986) non avrebbe nulla da imparare.

Morris Bober è un ebreo di New York che gestisce un negozio sulla via del fallimento. Ad un certo punto si presenta da lui un ragazzo, il protagonista del libro, che si offre di lavorare gratis. Il giovane «disse di chiamarsi Frank Alpine e d’essere arrivato da poco dall’Ovest, in cerca di una vita migliore». Ma qui gli affari vanno male, gli alberi sono spogli, quando nevica, la neve diventa subito sudicia. Frank ha la barba ispida e scura, gli occhi sono malinconici, ma la sua infelicità si infrange davanti alla visione della figlia di Morris, Helen: «scorse Helen (…) il suo aspetto lo colpì».

Frank ottiene di lavorare nel negozio, anche se Morris e la moglie sono sospettosi (sospetti giusti, visto che Frank in passato li ha rapinati e tutt’ora continua a rubare dalla cassa). La periferia di New York di Malamud, austera, invernale, con la gente sulle panchine che tira noccioline ai piccioni, ricorda molto quella che pochi anni dopo racconterà un altro grande scrittore ebreo americano, Chaim Potok. La vicenda si sposta al massimo fino a Coney Island, rigorosamente deserta, tra chioschi di hamburger e la «scura ruota panoramica». Frank vuole conoscere Helen ma Malamud ha scritto un romanzo sulle occasioni mancate e così si leggono solo slanci che fanno cilecca: «Frank desiderava ardentemente chiederle di uscire con lui, ma non osava mai». E molto più avanti: «Gli venne voglia di precipitarsi fuori, tirare Helen sotto un portone e dichiararle la grandezza del suo amore per lei. Ma non fece nulla».

Al centro de Il commesso, oltre alle paralisi e alle reticenze, sono in scena dilanianti conflitti interiori, tanti rimorsi e molta vergogna. Non si contano i pesi sulla coscienza che questi  personaggi tentano di levarsi con penose confessioni. La possibilità che la vita dia una seconda chance è sempre legata all’urgenza del riscatto, tema che attraversa tutta la narrativa di Malamud, da Una nuova vita, a Il migliore. Basta nulla, perché qualcosa illuda che la sorte sarà in futuro meno aspra. Qualche dollaro in tasca, una passeggiata con Helen, o un cenno della natura: «bastava un soffio d’aria tiepida per incuorarsi, per essere di nuovo grati alla vita».

Ogni buona intenzione viene tradita. Ogni volta che si è pronti per dire «adesso sono un’altra persona», c’è dietro l’angolo la fitta della debolezza. Si alternano torti subiti e torti inflitti, lacrime e pianti notturni, e i fallimenti si accumulano. Come la neve. Anche nei sogni infatti nevica e si attende qualcosa che non succederà: «Quella notte sognò di stare fuori nella neve, davanti alla sua finestra».

Il commesso di Malamud è un romanzo che rasenta la perfezione. Non allontanandosi mai dalle sue creature, dalla loro casa, dalla loro strada, Malamud ha l’ambizione di raccontare l’America e il cuore umano. Qui la grandezza. «Morris scese la scala e bevve un caffè su un tavolo ingombro di piatti di un self-service. Ecco l’America». Ecco la grande letteratura.

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