D) Cosa ti ha portato a scrivere il tuo nuovo romanzo ” Da Finsbury a Dante ” ?
R) Anni fa ho vissuto un lungo periodo a Londra, proprio a Finsbury park. Tra vagabondi, gente che viveva alla giornata, avventurieri, musicisti; un mondo incredibile assai lontano da come si vive in Italia e ancora più distante dalla mia vita quotidiana a Roma. E così tempo dopo ho iniziato a scrivere, senza sapere bene dove sarei giunto. Il protagonista l’ho immaginato prima uno scrittore marginale poi un musicista jazz, forse perché mi sarebbe piaciuto da giovane imparare uno strumento e poi amo il jazz da sempre. Man mano che scrivevo mi ritornava in mente una tematica che c’è anche in Grand’Hotel Des Bains, la lotta con la figura del padre e il tentativo con la maturità di riconciliarsi.D) Scrivi infatti di un tema spinoso come il conflitto con la figura del padre, non solo quello reale ma anche quello simbolico.R) Sembra un argomento fuori moda ma l’ho scelto perché è un tema che coinvolge ancora molte persone. Dico fuori moda perché la società in cui viviamo ha quasi depauperato, svilito la figura del padre. Sembra essere la figura debole nella triade padre-madre-figlio, relegato quasi a un ruolo secondario se non superfluo. Invece per chi è stato ragazzino negli anni settanta come me la figura del padre, a volte autoritaria, a volte limitante, a vilte forte, era centrale per la crescita di un ragazzo. Ma la storia del romanzo non è centrata solo su questo conflitto e sulla sua riconciliazione ma è anche altra.D) C’è il protagonista del tuo romanzo che sembra vivere una rivolta permanente contro i rituali di una società ormai asfittica e immateriale ma sembra che abbia trovato un equilibrio quasi sopra la follia. Temi poco visitati adesso dalla letteratura contemporanea.R) Oh, non usiamo paroloni. Di letteratura oggi ce n’è pochissima in giro e in Italia ancora meno. Anzi c’è una narrativa abbastanza modesta, quasi masticata e sputata via. Mi viene in mente Pontiggia quando, forse vent’anni fa, ironicamente dìceva che i grandi scrittori sono in continuo aumento, quello che scarseggiano sono gli scrittori. Come lui anch’io cerco qualcosa di utile da un autore e non una prova di effimera e inutile bravura, scoprire qualcosa che mi serva per farla mia. Come lettore ma anche come scrittore. Ma non voglio divagare. Cosa mi chiedevi ?D) Il tuo protagonista sembra vivere una rivolta permanente contro i rituali di una società asfittica e immateriale, ma sembra che abbia trovato un contraddittorio equilibrio sopra la follia.

R) Forse hai ragione… Da non riconciliato. Per me scrivere questa storia è stata una scelta quasi naturale, sicuramente istintiva. Mentre scrivevo, si materializzava quest’uomo in rivolta contro la banalità del vivere quotidiano. Ma forse riguarda più una rivolta verso i personaggi raccontati negli altri romanzi che non proprio quelli reali. Io tuttavia, come ho già detto a qualcuno, dichiaro la mia totale estraneità al milieu letterario italiano e alla sue risibili mode. Si è talmente inflazionato un genere che amo molto come il giallo-noir che me lo rendono quasi insopportabile: certe volte mi sembra che qualcuno scriva di nulla infarcendolo di poliziotti, investigatori e questioni di falso sociologismo. Io invece cerco dentro di me delle domande e delle risposte che probabilmente una parte degli esseri umani si fanno. Quando scrivo mi sento quasi in trance, come fossi un tramite tra qualcosa di ancestrale che vuole uscire fuori e la società che circonda il mio essere. In questo romanzo ho usato vari piani, quello del flusso di idee, ma anche la descrizione dettagliata di alcuni interni personali e di luoghi, oltre al fatto che sono intervenuto io come narratore nella storia per riflettere con il futuro lettore sui personaggi e sul loro modo di agire e connettersi.

D) Sembra evidente che il personaggio di Marco Filangieri ti somigli abbastanza. Le citazioni che inserisci da quelle dei luoghi a quelle letterarie a quelle musicali sembrano appartenerti.

R) Con il mio protagonista condivido l’amore incondizionato per il jazz, ma anche quello dei viaggi e del vagabondare solitario. Tutti i luoghi che sono citati nel romanzo sono luoghi in cui sono stato o vi ho vissuto. Come alcuni rifiuti e alcune inquietudini dell’esistenza del protagonista potrei farle mie. Si vede che è questo il mio modo di scrivere, anche se questo romanzo è pura fiction e non autobiografico. Diciamo che la mia necessità di scrivere nasce da una mia necessità di riflettere sulle cose del mondo, ed io ci sono dentro completamente emotivamente.

D) I temi nel romanzo sono anche altri, anche se sono raccontati senza lasciare troppo spazio, come la fine dell’idea della famiglia sia dal lato affettivo che solidaristico, ma anche della svalorizzazione dei sentimenti e dell’amore, oltre ai problemi di comunicare e di riconoscere i propri sentimenti. Lo dico pensando al rapporto che ha lo stesso protagonista con Mària a Londra, a quello degli amici bo-bo di Parigi, a quello del fratello e della moglie che vivono a Novara. Egoismi che arrivano fino all’estremo di procurare l’amante innocuo alla moglie per poter conservare una parvenza di famiglia e poter continuare a fare ciò che si vuole.

R) Credo che uno dei problemi maggiori di oggi in Occidente è quello di aver perduto la dignità dei comportamenti, una perdita derivante da un non sense di ciò che facciamo e pensiamo. Dove realtà, apparenza e convenienza si mischiano e si condensano creando un’opacità inquietante. E il cambiamento della struttura della famiglia ha determinato un ulteriore svaporamento dei pochi punti fermi. E’ vero quello che dici, queste realtà sono raccontate ma tenute sullo sfondo come un tramonto o un paesaggio, l’ho fatto scientemente perché volevo soprattutto raccontare questo musicista jazz quarantenne scorbutico e anarchico, il resto serviva solo da contraltare e non da coprotagonista della storia.

D) Ma anche il tuo protagonista è un egoista, un individualista e si muove un po’ a caso.

R) Sì, può sembrare così, ma diciamo che muovendosi individualmente non può essere inserito in un’idea di massa condizionante. Appartiene a quel tipo d’avventurieri sempre più rari che cambia donna, città e amici rimanendo fedele a se stesso e non facendosi condizionare da niente.
Quanto tempo hai impiegato a scrivere Da Finsbury a Dante.
Ho impiegato un po’ più di un inverno, quando scrivo non faccio altro. Quindi dodici ore al giorno per circa quattro, cinque mesi. Ma non avendo trovato un editore subito, ho passato per qualche anno tutto il tempo libero a riscriverlo e a modificarlo. Ci simo tenuti compagnia con Marco, quasi fossimo diventati due complici. Per fortuna che ho trovato un editore altrimenti starei ancora riscrivendolo nei tempi morti.

D) Stai già scrivendo qualcosa ?

R) Scrivere per me è liberatorio. Lo faccio costantemente, come bere dell’acqua o fare una passeggiata. Ti permette di allontanarti dal quotidiano, dal luogo in cui sei, da molte rogne. E’ anche il modo più economico per viaggiare, sei seduto da qualche parte e ti ritrovi a Singapore o a Città del Messico, riesci anche a sentire odori lontani, a rincontrare persone che avevi dimenticato e renderle migliori di quello che erano, a trovarti in un giardino che non sapresti ritrovare o in una casa. Quindi sì, sto scrivendo qualcosa ma sono ancora agli appunti: sono a Parigi, in una casa vicino ai giardini del Lussemburgo e voglio scrivere un romanzo su mio padre. Devo ancora comprare la colonna sonora che mi accompagnerà nella scrittura e anche qualche libro che mi libererà dall’invadenza di ciò che scriverò.

D) Buon lavoro, allora.

R) Buon lavoro e buona fortuna anche a te.

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