Abbiamo visto Le donne del sesto piano regia di Philippe Le Guay.
Se avete almeno quarant’anni oppure vi piace il cinema francese ‘borghese’ o ancora più semplicemente vi piace entrare in un mondo poco conosciuto ma molto gentile, allora questo film è per voi. Un film molto elegante, ma privo di qualsiasi intellettualismo, dove l’assunto è: due mondi contrapposti per cultura, ceto sociale e modelli comportamentali quando si incontrano possono cambiare le vite degli uni e delle altre. In meglio, naturalmente. E prima del Maggio e del Sessantotto. Perché c’è purtroppo ancora Franco in Spagna e De Gaulle in Francia. Un film semplice, ‘ingenuo’, leggero ma con un retrogusto intelligente e con un’accuratezza dei particolari da film importante. E’ una storia di cambiamenti emotivi, umani, piccoli spostamenti laterali emozionali, nella Parigi primi Anni Sessanta, il tutto tra interni polverosi borghesi, mansarde destinate alla servitù e piazzette gentili e ‘premoderne’. Quasi una favola, un po’ nostalgica di tempi e comportamenti così vicini eppure così lontani dall’oggi.

Il signor Joubert (un sempre eccellente Fabrice Luchini, qui un po’ in decadenza fisica) è un importante agente di borsa, tipico esempio di quella borghesia anni Sessanta tutto lavoro, casa e formalità. Vive con una moglie provinciale, un po’ ingenua e priva di reali pretese (la deliziosa Sandrine Kiberlain, attrice-cantante molto conosciuta in Francia ma i cui film non sono mai giunti in Italia); hanno due figli maschi, due reali caricature affettuose di adolescenti, che sono in collegio e ogni mese tornano per un fine settimana a casa. La vita procede serena e noiosa, senza alcun contrattempo o brio e non entrano mai in contatto con quelle che vivono nelle chambres des femmes del sesto piano, alcune cameriere spagnole che vivono quasi segregate nelle loro stanzette in mansarda e conservano tutto il danaro possibile per poi tornare a vivere in Spagna e potersi comprare una casa e la libertà economica. Ma non sono tristi, anzi, sono allegre, semplici ed anche innamorate della vita nonostante i vari drammi personali. Tra di loro c’è Concepcion (una sempre naturalissima e generosa Carmen Maura) e sua nipote Maria (la brava e sensuale olandese-argentina Natalia Verbeke, vista in Passione fatale e L’altro lato del letto) che viene assunta come cameriera dalla famiglia Joubert al piano di sotto. I due mondi entrano, per la prima volta, in contatto e la disponibilità umana e la carica emotiva di Maria ma anche delle altre donne fanno entrare un po’ di vita nel cuore in inverno del signor Jean-Louis che lentamente, e forse senza nemmeno rendersene conto “si innamora” della vitalità spagnola e della donna più vicina a lui. Il buon borghese che forse non ha mai fatto una follia nella vita scopre in sé una generosità sincera verso gli altri e una vocazione alla leggerezza da sempre soffocata dalla routine borghese e dalle sue etichette morali. Grazie a Maria scopre tutte le servette del sesto piano di cui non aveva alcun sentore e prende una ‘coscienza’ morale nei loro confronti, aiutandole in piccole cose di tutti i giorni come far riparare a sue spese un gabinetto in comune otturato o facendo telefonare in Spagna quella preoccupata della salute della sorella, fino a trovare a una di loro un lavoro come portiera e ad aiutarle tutte a investire i loro risparmi, tenuti sotto il materasso, in borsa. E così diventa un loro buon amico senza che la moglie si accorga di nulla, forse preoccupata di qualcosa di più borghese: l’ipotetico tradimento del marito con una ricca vedova mangia uomini. E così Jean-Louis si fa cacciare di casa dalla moglie senza reagire e felice se ne va in una delle stanzette del sesto piano, finalmente solo, finalmente libero. Tra una chiacchierata con Concepcion e un breve incomprensione con la “rivoluzionaria” Carmen, tra una paella con tutte e un aiuto alla scaltra Pilar, Jean-Louis impara lo spagnolo, si libera del lavoro oramai claustrofobico per lui e comprende di essersi innamorato di Maria. Vuole andare allora a vivere in Spagna con la donna ma lei inaspettatamente parte da sola. Ma tre anni dopo…
Philippe Le Guay, già assistente di Maurice Pialat e docente di cinema, ha debuttato nel 1989 con il film Les Deux Fragonard, nel 2003 ha girato sempre con Luchini Il costo della vita, un gran successo al botteghino nazionale. Appartiene a quella schiera di registi tipici francesi attenti ai rapporti sentimentali e alle loro dinamiche, normativamente e formalmente delicato ed elegante riesce a raccontare storie borghesi di cambiamento senza inserire drammaticità o conflitti. Forse è un po’ azzardato, ma potrebbe essere un erede di un maestro come Claude Sautet. In questo film di stampo teatrale, quasi da camera, è importantissimo l’apporto di attori come Luchini, dalla recitazione contenuta e sottratta ma anche dinamica, Carmen Maura, grandissima attrice che in questi ultimi ruoli la vedono al naturale e priva di glamour e bravissime sono Natalia Verbeke (Maria), Sandrine Kiberlain (Suzanne), Lola Duenas (Carmen) e tutto il cast al completo

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