“I grandi scrittori sono in continuo aumento. Quelli che scarseggiano sono gli scrittori”. Questa fulminante citazione di Giuseppe Pontiggia, uomo di profonda ironia, mi è tornata in mente in questi giorni leggendo alcuni articoli sulle pagine culturali dei quotidiani. Pontiggia la inserì tra i quasi duecento testi che compongono Prima persona, un libro originale, a metà tra racconto e saggio, uscito nel 2002, un anno prima della sua morte. Con quell’aforisma Pontiggia era riuscito a descrivere, in un colpo solo, lo stato della letteratura in Italia e la difficoltà, implicita, dei lettori a trovare qualcosa di interessante, o per meglio dire, di utile. “Io mi aspetto qualcosa di utile da un autore: non una prova della sua bravura, ma un frutto di cui possa appropriarmi, facendolo mio”. Sono passati dodici anni da quella battuta, ma il panorama letterario it aliano sembra essere rimasto lo stesso, se non e’ peggiorato (*vedi nota). A questo punto è lecito chiederci: quanti scrittori oggi riescono a consegnarci qualcosa di utile? Ci sono romanzi utili? Qualcuno c’è, ma sono sempre di meno.

Dagli articoli che ho letto in questi giorni, invece, emerge un terzo aspetto: la mancanza di ricezione del lettore, per scarso interesse o per difficoltà di apprendimento. Secondo Aldo Busi, ad esempio, “il romanzo in quanto opera di letteratura, non intenzionalmente ai fini commerciali, è morto nella sua creazione perchè ne è morta la ricezione. Chi lo scrivesse non può ignorare che qualsiasi simile opera non dura più di un tweet e sarà infinitamente meno letto di un hashtag”. Il critico e scrittore Emanuele Trevi, interpretando un ammonimento di Pietro Citati (“Leggere un testo è un’arte che abbiamo dimenticato”), ha sottolineato come “oggi non esistono più poeti come Paul Valery o Ezra Pound perchè quel tipo di scrittura oggi sarebbe fatica sprecata. Nessuno o quasi sarebbe capace di afferrare il valore dell’implicito, della citazione nascosta o rivelatrice. E per un elementare principio di economia, ben presto si smette di fare ciò che il nostro prossimo ne’ capisce ne’ apprezza”. Di fronte a questa situazione appare difficile immaginare un avvenire. Forse, citando sempre Pontiggia, “in futuro ci sarà soltanto una nicchia di autori e ospiterà i lettori superstiti. Ma saranno i migliori”.

C’è qualcosa, però, che ogni tipo di lettore (l’ottimista, il rassegnato, l’infastidito) può fare da subito, ed è quella di prestare più attenzione allo scaffale di critica letteraria. E’ sorprendente scoprire quanta letteratura di qualità si nasconda lì dentro. Vite, dialoghi, lettere, confessioni, diari, mappe, itinerari, ritratti, cataloghi: un’infinita possibilità di arricchimento, scoperta, piacere letterario. Vale la pena ricordare cosa diceva Giorgio Manganelli, che oltre ad essere stato un grande scrittore, fu un attento osservatore dell’arte di scrivere e leggere. “E’ mia personale convinzione che la critica sia semplicemente letteratura sulla letteratura: è una narrazione che ha per personaggi le parole di un libro, di una lettera, di una poesia. Non ci si dovrà stupire se un recensore si rivelerà un grande scrittore”. La possibilità di leggere un buon libro, dunque, non si ferma davanti allo scaffale delle novità. Se i romanzi esposti non ci soddisfano, o addirittura ci disgustano, potremo sempre abitare con Kafka, passeggiare in compagnia di Walser, immergerci nelle lettere appassionate tra Rilke e Lou Salome’, seguire vite tumultuose o il pensiero rivoluzionario di storici e filosofi, scoprire i primi passi degli scrittori, le loro lezioni, analizzare canoni, sonetti, interpretare testi. Così facendo il piacere di leggere inizierà a dilatarsi, la realtà si animerà d’improvviso e saremo avvolti da una gioiosa euforia. Non sentiremo più la mancanza di trame o intrecci, perchè quel vibrare continuo dei sentimenti e delle cose ci avrà condotto in un luogo più interessante. Tutti i testi e gli autori archiviati sotto la parola ‘critica’, non sono altro che letteratura.

Adelphi ha recentemente ripubblicato ‘Il rumore sottile della prosa’ di Manganelli, un concentrato di sapienza, sospiri, giochi e umorismo, dove la verità si manifesta in ogni pagina. Manganelli non amava i libri con una ‘storia’, gli interessavano i temi piuttosto che le trame. Romanzi come quelli di Henry James, Thomas Bernhard, Dostoevskij o Tolstoj hanno esigue storie ma sono intensamente scritti. “Posso dimenticare i nomi dei protagonisti – diceva Manganelli – ma mi restera’ in mente il rumore sottile della prosa”. Ecco un criterio valido per scegliere un libro. Puntare all’essenza, non ai semplici fatti. Se le case editrici usassero questo metro di paragone, avremmo molti meno libri, ma non si perderebbero lettori.

(*) Marsilio ha pubblicato da poco un libro-intervista a Fabio Franceschi, proprietario di Grafica Veneta, la più importante azienda produttrice di libri in Italia. Parlando della situazione editoriale, Franceschi dice: “Ogni giorno in Italia escono 170 nuovi libri, il 35-40 per cento dei quali non venderà neppure una copia, segno che persino i parenti più stretti sono disinteressati a conoscere ciò che taluni scrittori hanno da dire. Nello stesso giorno, 109 libri vengono ritirati dal commercio dopo una permanenza media sugli scaffali di un paio di mesi, e nessuno ne parlerà più o se li ricorderà”.

DA NON PERDERE ANCHE:
Raoul Precht – Kafka e il digiunatore (Nutrimenti)
Pietro Citati – I Vangeli (Mondadori)
Lamberto Maffei – Elogio della lentezza (Il Mulino)

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