Intorno a Louis Ferdinand Cèline, al viaggio e altre bagatelles…
Pensare alla poetica e alle contraddizioni di Cèline è come pensare al mondo intero, salvarlo dalla retorica dei sentimenti, dal buonismo di alcuni e dalla ‘ trasgressione modernista ‘ degli altri è salvare noi stessi da questa melassa culturale che ci avvolge e che sembra farci vivere con altre espressioni al ballo mascherato degli Anni Trenta del secolo scorso. Se vi avvicinate a questo superlativo e ritroso, aggressivo e buono, cinico e malinconico, ironico e antipatico scrittore ( se volete infatuarvi, avvicinatevi con calma: leggete per prima “ Viaggio al termine della notte “, poi “ Guignol’s Band “ e il suo seguito “ Il ponte di Londra “ e quindi gli altri ) dovrete abbandonare la retorica, le convenzioni, le banalità, le buone maniere e i preconcetti in cui tutti noi cadiamo o viviamo per comodità, ipocrisia e quieto vivere. L’esistenza di Louis-Ferdinand Cèline ( Destouches il suo vero cognome, 1894 – 1961 ) si potrebbe definire quella di un cavallo e il suo fantino allo stesso tempo: medico e malato sin da giovane, antimilitarista e decorato con la Croce di guerra con una stella di argento e compare anche sulla copertina dell’Illustré National, accusato di essere un comunista ( per il suo primo romanzo, Le Voyage… ) e un antisemita ( per il romanzo Bagattelle per un massacro ), accusato di essere un collaborazionista con i nazisti ( senza tuttavia essere nel loro libro paga ) e autore del trittico Nord ( in cui si racconta la follia nazista degli ultimi lampi di guerra ), odiato da Sartre e dalla sinistra antifascista e amato da Orson Welles e da Henry Miller, profondamente francese eppure grande viaggiatore tra Africa, Nord America ed Europa, frequentatore di anarchici bombaroli, di puttane e umanità varia in Inghilterra e Stati Uniti eppure amico di collaborazionisti della Repubblica di Vichy, medico dei poveri della periferia parigina e funzionario della Società delle Nazioni che lo manda in giro per l’Europa, poi in Africa, negli Stati Uniti, in Canada e a Cuba. Sicuramente è il primo a coniugare l’alto culturale con il basso. E’ stato probabilmente il più grande e innovativo scrittore del suo tempo ma si è anche marchiato da solo di alcuni pamphlets per l’epoca conniventi e irritanti, al punto che la critica più autorevole riconoscendogli le indubbie qualità di scrittore e una grande intelligenza nel leggere la realtà ha provato ‘ a salvare ‘ il primo Cèline – quello del Voyage ou bout de la nuit ( 1932 ) e Mort à credit ( 1936 ) – e a scaricare il resto dei lavori nella nevrosi esistenziale di un uomo dal carattere irrisolto. Ma la domanda classica che ci si pone è: si può giudicare uno scrittore ( un uomo ) solo per una parte della sua vita-produzione ? Possiamo giudicare un qualsiasi personaggio per parti di vita ? Noi crediamo – come Carlo Bo – che Cèline bisogna prenderlo nel suo complesso. Oltretutto i romanzi degli Anni Cinquanta, fino all’ultimo Rigodon, non sono né fascisticheggianti, anzi, né antisemiti. E come con Bo pensiamo che lo scrittore sia stato ( splendida ) vittima della foga dei suoi sentimenti e “ ha creduto di poter contrapporre validamente, efficacemente il furore dell’immaginazione al sentimento capitale della paura “. Quando entra Cèline nel panorama della scrittura francese degli Anni Trenta ( Arbasino lo definisce “ nel giardinetto della lingua francese anestetizzata con tanta dolcezza da France e da Gide “ ) è come un vomito sanguinolente che cade sulla tovaglia di merletti della buona borghesia francese ancora ignara della tragedia che avverrà poco più in là. Si presenta con un concetto dell’esistenza che dice “Notre vie est un voyage – dans l’hiver et dans la Nuit – nous cherchons notre passage – dans le Ciel où rien ne luit”… ( pensate, citare i versi di una canzone delle Guardie svizzere del 1793 ) e usando una prosa prepotente e ruvida con un linguaggio provocatorio, esagitato al punto da far risuonare la punteggiatura neanche fossero pallottole e la narrativa una bomba deflagrante.
In realtà la poetica di Cèline gira intorno alla considerazione che la povera gente è abbrutita moralmente, economicamente e culturalmente dalla retorica e dai modelli della borghesia e che per chi è nato ’ come un granchio bavoso ‘ non c’è riscatto nemmeno con la speranza del Comunismo e dell’allora Unione Sovietica ( che andò a visitare e di cui restò deluso e arrabbiato ): La povertà stessa è una malattia, tremenda e senza possibilità di cura-riscatto. Giungendo a questa pessimistica considerazione, durante i suoi viaggi nel vecchio continente e verso il nuovo ( è stato tra l’altro medico di bordo su navi che attraversavano l’Oceano Atlantico ) Céline giunge a pensare che davanti a tanto dolore e all’impossibilità di eliminarlo, non restava per lui che il viaggio non solo fisico ma anche mentale: “ Il viaggio è l’unica cosa che conti veramente, tutto il resto è delusione e fatica “. E anche a causa di questa forma ‘ cinica ‘ di difesa personale giungerà alla convinzione dell’inaridimento dell’uomo moderno e alla sua impossibilità di limitare il suo ‘ condizionamento ‘; nei suoi romanzi ( la forma è contenuto nella narrativa di Cèline: il suo stile di scrittura è completamente rivoluzionario con i suoi tre puntini, gli spazi vuoti nel testo, l’uso della parola ‘ merda ‘ utilizzato con maestria e per nulla gratuito. E a questo si deve aggiungere l’argot, lingua gergale nell’uso popolare con un uso anche alto del linguaggio, che a volte sembra una specie di delirio. Un falso delirio ) usa le parole come bisturi, come fosse una musicalità jazz nervosa, liberatoria carica di rabbia morale, che tende a smitizzare le goffaggini e i disvalori dell’epoca, svela le ipocrisie, le convenzioni, i rapporti ottusi di quel mondo e i suoi ideali ( sono gli anni dell’occupazione dell’Abissinia, della Guerra Civile Spagnola, del patriottismo per comitive ) che definisce: “… i nostri peggiori istinti vestiti di paroloni “. Cèline in realtà, uomo e scrittore, è disperato e angosciato perché vede una società e anche le menti più generose di una generazione abbrutite dagli idoli della modernità e dai falsi miti. Si potrebbe pensare a lui come a un moderno pessimista co(s)mico. Eppure, pensate quanto ha potuto disturbare il popolo francese con i suoi romanzi al limite e con il suo cinismo quasi nichilista, quando è morto – sedici anni dopo la guerra – la moglie non lo ha fatto seppellire nella cappella di famiglia al cimitero parigino del Pere Lachaise per timore di rappresaglie e l’anno scorso il Presidente Sarkozy, di origine ebraiche-sefardite si è dovuto quasi scusare: “ Non tutti quelli che, come me, leggono Cèline sono antisemiti, così come chi legge Proust è omosessuale “. In realtà nei suoi confronti – ancora oggi – si sono sedimentate la banalità del bene e del male.
Vogliamo accludere a questo testo un giudizio ‘ buffo ‘ di un certo cavaliere dal nome Benito M. : Ho letto quel pastone di argot di Voyage au bout de la nuit. Scrittura giacobina, insoddisfazione termidoriana, desiderio di ricostituzione dell’assolutismo di tipo anarchico, via precisa all’assolutismo di tipo zarista. Fatelo vivere a lungo, un tipo come Céline, e i posteri ne vedranno delle belle! Io non so se questo scrittore sia capace di amore. È una bomba armata a rancore. Ma che cosa mai gli ha fatto l’umanità! Non ha capito molto, di Nietzsche. Nulla ha compreso di Blanqui. Il tarlo Proudhon gli lavora nel cervello. Ma come fa, un personaggio come Céline, ad essere medico?
Accludiamo tre frammenti letterari di Cèline, per far capire di chi stiamo parlando:
“ Siamo partiti nella vita coi consigli dei genitori. Non hanno retto dinnanzi all’esistenza. Siamo piombati in pasticci uno più tremendo dell’altro. Siamo venuti fuori alla bell’e meglio da conflagrazioni funeste, più o meno di traverso, come granchi bavosi, a dietro culo, qualche zampa in meno: Delle volte ci siamo divertiti, bisogna essere giusti, anche con la merda, ma sempre in preda al’inquietudine che le porcate ricomincino… E sono ricominciate sempre… Ricordiamoci un po’ ! Si parla delle illusioni, che perdono la gioventù: Noi l’abbiamo perduta senza illusioni la gioventù !… E ancora storie “ ( Guignol’s Band )

“ Eccoci qui, ancora soli. C’è un’inerzia in tutto questo, una pesantezza, una tristezza… Fra poco sarò vecchio. E la sarà finita una buona volta. Gente n’è venuta tanta, in camera mia. Tutti han detto qualcosa. Mica m’han detto gran che. Se ne sono andati. Si sono fatti vecchi, miserabili e torpidi, ciascuno in un suo cantuccio di mondo… Mica l’ho praticata sempre ‘ sta merda di medicina. Ora glielo voglio proprio scrivere ch’è morta, la signora Berenge, a tutti quelli che m’han conosciuto, che han conosciuto lei. Ma dove saranno ? Vorrei che il temporale facesse ancora più baccano, che i tetti sprofondassero, che la primavera non ritornasse più, che casa nostra sparisse… “ ( Morte a credito )
“… Ho visto molte cose, ma la Germania in preda a furor nichilista non si dimentica… Dove arrivo io, tutto diventa marcio, suolo e vegetali e bestiame… La mia bussola!… la portavo sempre appesa al collo… non volevo farmi imbrogliare… nord!… nord!… nord1… Oh, come non mi piacciono le stazioni!… ancora adesso, per tutto l’oro del mondo, non mi fareste prendere il metrò, né arrischiarmi in un cinema… E bum! e vrrring!… Davanti a queste rovine… direi quest’oceano d’incendi, questi scrosci di fiamme da un capo all’altro di Hannover… sono io che la sento, proprio nella mia testa, la musica… credo la musica che ci vorrebbe… ma le note?… le note esatte, giuste?… E “hi! hi!…” E “hop! hop!…” ( Nord )

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