Abbiamo visto “ Monumets Men “ regia di George Clooney.

Perché è un film poco riuscito nonostante le buone intenzioni iniziali ?  Forse proprio per questo, perché la premessa è culturalmente ‘ corretta  ‘: salvare le opere d’arte dalla barbarie nazista è come salvare la nostra storia di centinaia d’anni dall’oblio, è come salvare la nostra cultura anche emotiva dall’orrore indistinto dei fascismi.  Ma salvare un’opera d’arte è più importante della vita stessa ?  In questo caso certamente sì: 2 Men morti per salvare 5 milioni di Opere è un prezzo che si può – e forse si deve pagare – al mondo intero, anche a quello barbaro e osceno dei nazisti.  Questa è la premessa.  Poi si forma un bel cast di ottimi attori ( in questo caso poco utilizzati: Dujardin, il francese sempre sorridente; un Bill Murray contenuto nel suo surrealismo; un John Goodman sprecato e sfocato; e un Clooney un po’ Clarke Gable, un po’ dottor Ross diventato maturo ).  Dicevamo premessa culturalmente corretta, buon cast e poi sembra che il regista pensi che il film sia fatto, non decidendosi su quale registro impostare la storia, rendendo troppo leggeri ( quasi da commedia ) tutti i personaggi per vivere all’interno di un dramma come il fronte di guerra sulle Ardenne.  Sembra quasi che gli autori non siano mai usciti da Hollywood e che lo scenario sia elducorato e di cartapesta.  E viene in mente il confronto con un film analogo ma riuscitissimo, “ Il Treno “ diretto nel 1964 dal grande John Frankenheimer con Lancaster e la Moreau, che racconta una storia simile.  Quindi è quasi inutile aggiungere che risulta un mezzo passo falso da parte di Clooney alla sua quinta regia, dopo le ottime performance da “ Confessione di una mente pericolosa “ fino al penultimo e notevole “ Le idi di marzo “.

La storia è la trasposizione del libro omonimo “ Monuments men – eroi alleati, ladri nazisti e la più grande caccia al tesoro della storia “ scritto da Robert Edsel nel 2009.  Siamo nel 1944, poco prima dell’ultima grande battaglia, quella delle Ardenne in Belgio.  Frank Stokes – conservatore dell’Harvard Art Museum – viene convocato dal Presidente Franklin D. Roosevelt e arruolato da Dwight D. Eisenhower: deve reclutare un gruppo di sette dirigenti di museo, prepararli al fronte nonostante le età più che adulte, i fisici non proprio da combattenti e la poco forma fisica, per portarli oltre il fronte di guerra, verificare dove si trovano le opere d’arte, la maggioranza delle quali sono già state trafugate dai nazisti se non bruciate perché ritenute arte degenerativa, recuperarle e avvisare l’aviazione angloamericana di evitare di bombardare luoghi in cui ci sono tali Opere.  Insomma la struttura narrativa ricorda il bellissimo “ Quella sporca dozzina “ di Aldrich, ma tutto è un po’ approssimativo e in punta di penna.  Sia le psicologie dei personaggi, sia i cattivi nazisti sia gli indefinibili sovietici che gareggiano con gli americani nell’ultima parte del film per ‘ arraffare ‘ più opere possibili e portarle a Mosca.

Frank Stokes crea questa compagnia formata da due storici, un esperto d’arte, un architetto, uno scultore, un mercante, un pilota britannico e un soldato ebreo tedesco ormai nell’esercito degli Satti Uniti per le traduzioni, e passando tra pericoli, ostilità degli ufficiali americani che reputano più importante combattere che aiutarli a salvare delle opere, rischi classici di una guerra, riusciranno a salvare qualcosa come 5 milioni di quadri e sculture, da Michelangelo fino a Picasso.

Un’operazione che va in controtendenza con questi tempi in cui tutti possono sapere tutto ma pochi riconoscono il valore dell’arte come elemento fondativo di una civiltà.  Ma l’operazione tuttavia risulta manichea, didascalica e culturalmente ‘ superficiale ‘, come probabilmente è il pubblico che va a vedere un film del genere.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *