Abbiamo visto “ Quel che sapeva Maisie “ regia di Scott McGehee, David Siegel.

Chissà se Henry James sarebbe soddisfatto dell’adattamento in era moderna ( sceneggiatura scritta da Carroll Cartwright e Nancy Doyne ) del suo omonimo romanzo del 1897.  La critica americana ha accolto favorevolmente il film ma una distribuzione fiacca lo ha reso quasi un flop negli USA nel 2013.   James era uno scrittore che guardava al passato, vicino per stile a Molière o a Shakespeare, come loro era interessato al conflitto morale e alle scelte che fanno gli esseri umani, ma nel suo caso senza mai criticare la società e anzi accettandola in tutte le sue sfumature come fossero ineluttabili della condizione umana; fu sua la teoria secondo la quale gli scrittori sono chiamati a presentare la propria visione del mondo senza darne un giudizio, tantomeno critico.  Certo fare un confronto tra James con questi due registi, Scott McGehee e David Siegel, è un po’ azzardato, ma forse è sintomo di un confronto tra epoche.  I due sceneggiatori e i due registi provano stilisticamente a seguire l’animus di James, ma pur pieno di attenzioni e timbri narrativi, oltre che di gusto, non evitano di mostrare un sentimentalismo in alcuni passaggi ridondante e a raccontare una natura umana a volte banalmente al peggio se non patetica. 

Siamo di fronte ad un piccolo film ( nel senso positivo del termine ), a volte delicato, sicuramente schietto e onesto ma che non riesce a scavare nella profondità dell’animo umano, delle sue piccolezze, i suoi egoismi e le sue amnesie affettive.  In questa famiglia disfunzionale, ben raccontata nella prima parte, nessuno è un mostro o cattivo ma nessuno è veramente disposto a sacrificarsi per amore di una figlia ancora piccola; e in questo mondo borghese e alternativo newyorkese Maisie, una bimba di sei anni, vive l’essere contesa nella causa di divorzio tra una mamma rocker e un po’ sopra le righe e un padre antiquario spesso in viaggio d’affari, più che per il suo bene per antiche consuetudini e stereotipi sentimentali. 

Siamo nella New York di oggi, intellettuale e borghese anche se poco convenzionale,   Susanna ( Julianne Moore, sempre molto brava ) è una rocker quarantenne un po’ in crisi professionale ed esistenziale, distratta ed egocentrica, sopra le righe in alcuni comportamenti, sta vivendo la fine di un rapporto matrimoniale con Beale ( Steve Coogan – visto quest’inverno nel ruolo del giornalista in Philomena ),  un tipo caratterialmente differente da lei, tranquillo, immerso nel lavoro di venditore di quadri d’autore, sempre sorridente, buon parlatore e un po’ piacione.  Tra loro due l’unico contendere è la figlioletta Maisie ( Onata Aprile ), una bimba di sei anni molto matura, forte, paziente; attraverso i suoi occhi assistiamo alla battaglia dei suoi genitori per lei, ma anche al loro profondo egoismo che giunge per Beale con lo sposare la baby sitter Margot ( Joanna Vanderham ), una giovane e tenera ragazza che rimane da sola con la bimba mentre lui gira il mondo per lavoro, mentre Susanna, intenta a preparare una tournée musicale, sposa un giovane cameriere ( Alexander Skarsgård ) che servirà a lei più come altro baby sitter che non come compagno di vita.  Seguiamo  tutto l’iter dei comportamenti genitoriali poco attendibili, osserviamo la pazienza e la forza della piccola Maisie coccolata, amata, ma spesso dimenticata e finita come un pacco postale, fino a ( per noi poco credibile, in fondo ) creare lei una nuova famiglia con i due giovani partner dei genitori che a loro volta si innamoreranno e andranno a vivere con la piccola in una casa vicino al mare.

Il romanzo di James – pur seguito senza strappi nella nuova versione – racconta altro, mentre il film segue il consuetudinario stereotipo della società ormai arida nei sentimenti e con la descrizione di adulti immaturi, senza spina dorsale.  Viene narrato il tutto  restando troppo in superficile e rischiando di essere solo una cronaca di un divorzio annunciato, senza riuscire a penetrare e scandagliare i veri sentimenti dei protagonisti.  Le due figure ‘ giovani ‘ sono sì assai differenti dai due genitori, ma non hanno nessuna specificità individuale, servono solo come contraltare mieloso ai cinici adulti.

Ottimo il cast e in particolare la piccola Onata Aprile, buona la regia e belle le scenografie e le location, buono anche il montaggio.

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