Il rapporto tra Albert Camus e René Char è consacrato dalla Storia, testimoniato da una Correspondance (pubblicata nel 2007 da Gallimard, a cura di Franck Planeille) di rara intensità. I due si incontrano nel 1945, il sigillo di un’amicizia profonda è nella dedica a Fogli d’Ipnos, “A Albert Camus”, secondo l’antico patto dei legami letterari, oltre il tempo (così Melville dona Moby Dick a Hawthorne; così T.S. Eliot dedica La terra desolata a Pound). “Nel febbraio del 1945, Albert Camus volle i Feuillets d’Hypnos per la collezione ‘Espoir’ da lui diretta, per Gallimard. Il libro apparve nell’aprile del ’46 e si può dire che da quel momento data la fama, non solo francese, di René Char”, scrive Vittorio Sereni, traduttore congeniale di Char, suo seguace. Camus era più giovane di sei anni: la poesia di Char gli apparve come una rivelazione, un colpo d’ascia: “il più grande evento nella poesia francese dopo Rimbaud”, disse, nel 1949. Dieci anni dopo, fu proprio Camus a presentare al pubblico tedesco la lirica di Char, pubblicata da S. Ficher Verlag. Il testo – che qui si traduce – ha la stoffa del testamento – Camus muore il 4 gennaio del 1960 –, e va ricordato che nel 1945, per Gallimard, Camus pubblica Lettere a un amico tedesco, con “il desiderio, vivo in me, di contribuire, da parte mia e sia pure debolmente, ad abbattere un giorno la stolta frontiera che divide i nostri due paesi”. Nell’introduzione a quelle lettere, Camus spiega che “Avevano uno scopo, quello di fare un po’ di luce sulla cieca lotta in cui ci trovavamo e di rendere così più efficace la lotta stessa”. Anche parlando della poesia di Char torna, con accurata costanza, la parola lotta, l’etica del combattimento. Quasi che i libri di Char fossero un addestramento alla guerra. Char, però, combatte nella luce, in un roveto di radiazioni – che la poesia sia battaglia, lama, bacio, è chiaro.

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In poche righe è impossibile rendere giustizia a un poeta come René Char, ci basti vederlo. Alcune opere meritano ogni pretesto per onorarle, senza infingimenti, della nostra gratitudine. La novità di Char è eclatante, in effetti. Egli ha attraversato il surrealismo, è indubbio, ma si è concesso la solitudine, per orientare il suo passo. A partire dalla pubblicazione di Seuls demeurent, sono bastate poche poesie per dare alla nostra lirica un vento libero, vergine. Dopo troppi anni in cui i nostri poeti, dapprima dediti alla fabbrica di “giocattoli d’inanità”, hanno abbandonato il liuto per afferrare la tromba, la poesia è tornata a essere un incendio salutare. Brilla, come i vasti fuochi nell’erba che, nel paese dei poeti, danno odore al vento, ingrassano la terra. Finalmente, il respiro. Il mistero naturale, le acque vive, la luce, irrompono nella stanza dove la poesia era sotto il sortilegio di ombre e di echi. Possiamo dunque parlare di una rivoluzione poetica.

Questa novità sarebbe però poco affascinante se la sua ispirazione non fosse, al contempo, così antica. Char persegue il tragico ottimismo della Grecia presocratica. Da Empedocle a Nietzsche, un segreto si è trasmesso di mano in mano: Char, dopo una lunga eclissi, è iniziato a questa cruda e rara tradizione. Il fuoco dell’Etna cova sotto le sue insostituibili formule, il vento regale di Sils Maria irriga i suoi versi, li fa risuonare di acque fresche, feroci. Ciò che Char definisce “la saggezza con arnie di lacrime negli occhi” è qui, al culmine del nostro disastro.

Antica e nuova, questa poesia combina raffinatezza e semplicità. Ha lo slancio del giorno e della notte. Nella grande luce dove abita Char sappiamo che il sole può essere nero. Alle due, quando la campagna si strugge nel caldo, un alito oscuro copre l’astro. Allo stesso modo, ogni volta che la poesia di Char pare oscura, è per furiosa condensazione di immagini, un addensamento della luce che la eleva dall’astratta trasparenza – ciò che infine aneliamo, perché nulla da noi pretende. Ma allo stesso modo, come nella pianura assolata, questo punto nero coagula intorno a sé vaste zolle di luce, dove i volti si denudano. Al centro di Poème pulvérisé, ad esempio, si erge un fuoco, misterioso, intorno a cui ruotano fasci di immagini incandescenti.

Nella strana e rigorosa poesia che ci offre Char, la nostra notte risplende, e in essa camminiamo. Questo poeta di ogni tempo parla al nostro tempo. Al centro della mischia, è lui che dona formule alla nostra sventura e alla nostra rinascita: “Se abitiamo il lampo, quello è il cuore dell’eterno”. La poesia di Char, in effetti, ha la violenza del lampo, non solo in senso metaforico. L’uomo cammina nella lotta contro il totalitarismo hitleriano, ieri, e oggi contro i nichilismi contrari e complici che lacerano questo mondo. Del comune combattimento, Char accetta il sacrificio. “Essere nel salto, sul bordo, non nella festa, all’epilogo”. Poeta della rivolta e della libertà, non ha mai accettato il compiacimento né confuso la battaglia con lo scherzo… Questo autentico ribelle sfugge al triste destino dei celebri insorti, che finiscono per diventare poliziotti o complici. Si ribellerà sempre contro quelli che chiama gli affiliati alla ghigliottina, i limatori di coltelli. Non accetta il pane della prigione e finché il pane di casa non avrà un sapore migliore, preferirà il vagabondaggio. Capiamo perché, allora, questo poeta degli insorti sia pure il poeta dell’amore. Tutto un aspetto della sua arte e della sua morale è riassunto in questa fiera epigrafe: “Non piegarti se non per amare”. L’amore che percorre la sua opera, così virile d’altronde, ha gli accenti della tenerezza.

Anche per questo Char, alle prese, come tutti noi, con il groviglio della Storia, non ha avuto timori a custodirla, ad esaltare di essa la bellezza, quella di cui abbiamo disperatamente sete. E la bellezza emerge nei suoi memorabili Feuillets d’Hypnos, ardenti come l’arma del refrattario, rossi, grondanti di uno strano battesimo, coronato di fiamme. Riconosciamo allora la poesia per quello che è: non la dea incruenta delle accademie, ma l’amica, l’amante, la compagna dei giorni. Nel mezzo del combattimento, ecco la voce del poeta. “Nelle nostre tenebre, la bellezza non ha luogo. Tutti i luoghi sono per la bellezza”. Di fronte al nichilismo del nostro tempo, contro ogni smentita, le poesie di Char sono una via di speranza.

Cos’altro possiamo chiedere a un poeta, oggi? Nel cuore delle nostre città devastate, in virtù di un’arte segreta e generosa, c’è ancora la donna, la pace, la cruda libertà. E lungi dal deprimere la lotta, sappiamo che queste ricchezze risorte la giustificano. Senza volerlo, senza altra investitura che il rifiuto di alienarsi dal proprio tempo, Char è il poeta del domani. Da opere come la sua possiamo chiedere profezia e lungimiranza. Sono messaggere di verità, di una verità perduta, che ci è di fronte, ora, dopo gli anni del silenzio, dell’esilio. Ma le parole finalmente si formano, la luce si alza, la patria riceve il suo giorno, il suo nome. Un poeta oggi lo annuncia magnificamente e già ricorda, per giustizia verso il presente, che è “terra e mormorio, in mezzo agli astri impersonali”.

Albert Camus

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Nonostante il freddo glaciale che, al principio, ti ha attraversato, e ben prima di ciò che avvenne, non eri che fuoco creato dal fuoco, rapito dal tempo, che, alla meglio, si sarebbe consumato per assenza del fuoco nuovo, per la febbre delle ceneri inalate.

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Vento fermo

Mentre annodi le tue ambizioni lussureggianti, in quest’alba, mi appari martire, povera terra, fustigata dall’ansia mefitica degli opifici, il cui fumo nessun vento sa esorcizzare, e la luna piena, sputacchiera dei terrestri o specchio lurido del sole, l’arrogante che con la lima si accinge al suo lento lavoro. Il sole!

Nel corpo oscuro si incide una cifra. Incidente impercettibile che brilla e si riflette sul covone delle nostre vertebre fino alla diversione: getto di gufi vermigli. Sigillato ma libero di slanciarsi. Là ci abbevera l’Amica che non sa orari ed è orgogliosa di noi.

René Char

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