I due personaggi, che in un piccolo ufficio di trenta metri quadri del consolato boliviano ad Amburgo si trovarono, la mattina del 1° aprile 1971, l’uno di fronte all’altra come in una rappresentazione teatrale, incarnavano tanta parte dell’immaginario politico-ideale del mondo del secondo Novecento. Lui, Toto Quintanilla Pereira, uomo bruno e tozzo di 43 anni che aveva appena cominciato la sua ultima giornata di lavoro da console boliviano ad Amburgo (doveva tornare in patria l’indomani), era quello che da capo dei servizi segreti boliviani aveva intercettato e bloccato, nell’ottobre 1967, l’ultimo e stremato drappello di guerriglieri capeggiati da Che Guevara per poi comandarne l’uccisione a freddo e successivamente scempiarne il cadavere.
Lei, una ragazza con un corpo da indossatrice nonostante avesse camuffato la sua bellezza con una parrucca color grigio argento e un paio di occhiali, una che s’era presentata al consolato quale turista australiana bisognosa di un visto per la Bolivia, era la tedesca 34enne Monika Ertl, militante col nome di battaglia “Imilla” in quell’Esercito di Liberazione Nazionale che in Bolivia cercava di raccogliere l’eredità del Che e innanzitutto di vendicarne l’assassinio.
Un regalo gradito L’incontro e il confronto dei due personaggi teatrali di cui ho detto durò solo pochi istanti. Il tempo che la donna estraesse dalla borsa che portava a tracolla una Colt Cobra 38 Special, un’elegante pistola che Giangiacomo Feltrinelli aveva comprato in un’armeria di Milano il 18 giugno 1968, e sparasse al console boliviano tre colpi a bruciapelo, che da lì a poco gli tolsero la vita. Mentre il corpo di Quintanilla si abbatte sul divano per poi ricadere supino sul parquet, la ragazza fugge via. Ma si trova di fronte Anna, la moglie del console, immediatamente accorsa al rumore degli spari.
Tra le due donne è una breve colluttazione, in cui la terrorista ci rimette la parrucca, la borsetta e anche la pistola ex Feltrinelli. E comunque Monika Ertl riesce a involarsi, quella mattina del 1° aprile 1971. Ha ancora due anni e 42 giorni da vivere. Alla sera tarda del 12 maggio 1973 lei e un suo compagno sono intercettati, in un quartiere povero alla periferia nord di La Paz, da reparti speciali boliviani che li stavano braccando e che li subissano di pallottole. La Ertl probabilmente muore nello scontro, o forse l’hanno finita con un colpo alla nuca. Le sue spoglie non sono mai state restituite alla famiglia.
Esiste una foto di lei appena morta, il corpo steso non so se su una panca o su un letto, il sangue che s’è rappreso sulla fronte e sulla guancia, la bocca schiusa in una smorfia di terrore, un terrore che non cancella la sua bellezza. A un mese dall’omicidio di Amburgo, la stampa internazionale già faceva il suo nome come quello del probabile killer di Quintanilla. Sulla sua testa le autorità boliviane avevano messo una taglia di 20mila dollari, una cifra enorme se la raffronti ai 4.200 dollari che s’era guadagnato chi aveva fatto catturare Guevara.
Boia implacabile L’assassinio simbolicamente più fragoroso degli anni tumultuosi tra i Sessanta e i Settanta, ovvero la mattanza di un comandante guerrigliero prima ritenuto invincibile; la vendetta implacabile contro il boia di Guevara, per giunta attuata da una bellissima terrorista; la controvendetta dei boliviani, e dunque la ragazza tedesca ammazzata come un cane in circostanze rimaste misteriose. È una storia che valeva la pena raccontare.
Lo ha fatto un giornalista tedesco che vive a Berlino, Jurgen Schreiber, in un libro appena tradotto in italiano col titolo La ragazza che vendicò Che Guevara (Nutrimenti, pp. 398, euro 19,50). Schreiber scrive che il regista Costa-Gavras avrebbe voluto dedicare un film alla guerrigliera, e che per interpretarla aveva pensato a Romy Schneider. Sono tanti i personaggi collegati a Monika Ertl e al suo tragico destino, e fermo restando il mistero su chi organizzò (e collaborò con lei) l’azione di Amburgo.
La rivoltella rimasta sul posto e che portava la firma di Feltrinelli fece scattare un mandato di arresto nei suoi confronti quale complice del delitto Quintanilla, solo che Feltrinelli s’era dato da tempo alla clandestinità e finché il 14 marzo 1972 non ritroveranno il suo corpo dilaniato dall’esplosione dei candelotti di dinamite ai piedi di un traliccio di Segrate. Di certo era stato lui a fornire il revolver a Monika, di certo era stato lui a pagarle dei voli dalla Bolivia (dove viveva la sua famiglia) in Europa, di certo i due s’erano incontrati nei giorni e nelle settimane antecedenti il 1° aprile 1971.

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Un altro che incontrò la Ertl e che ne fu in ogni senso ammaliato era stato Régis Debray, l’intellettuale francese che c’era andato anche lui in Bolivia a mangiare pane e rivoluzione al fianco del Che, e che farà della Ertl l’eroina di un suo romanzo autobiografico pubblicato nel 1977. Quanto a Inti Peredo, l’uomo sopravvissuto all’agguato che distrusse il gruppo di guerriglieri capeggiati dal Che e che prese il suo posto alla testa di quei pochi e sciamannati boliviani che volevano continuare a praticare la via dell’azione armata, fu ardentemente ammirato dalla Ertl fino all’assalto in cui gli uomini di Quintanilla lo fecero a pezzi.
Un Quintanilla che si fa fotografare a fianco della bara con il corpo di Peredo a ostentare la sigaretta che sta fumando come addosso al cadavere. Monika aveva scritto una poesia in morte di Peredo. È probabile che stesse pensando a quella foto mentre premeva tre volte il grilletto contro il console boliviano.
Gli ex nazisti Nata in Germania nel 1938, la maggiore di quattro figlie, Monika era venuta in Bolivia con tutta la sua famiglia nel 1954. La colonia tedesca che viveva ai bordi di La Paz era folta, in buona parte gente che voleva far dimenticare il suo passato filonazista.
Un habitué di casa Ertl era Klaus Altman, ossia Klaus Barbie, meglio noto come «il boia di Lione». Quand’era ancora una teenager, Monika lo chiamava «zio Klaus». Quando nei suoi vent’anni inoltrati, e dunque nei primi anni Sessanta, aderì alle mitologie estreme della sinistra sudamericana ed europea, il ricordo di quell’uomo amico di famiglia accese ulteriormente la sua radicalità. Come se fosse stata una macchia da cui voleva lavare sé e la sua famiglia. A colpi di pistola.

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