Premessa:

Il Buddhismo  è stato definito la più mistica e la meno mistica tra le religioni; la più spirituale e una dottrina filosofica che non è una religione.  Come mai ?  Probabilmente perché non è possibile fare una sintesi inequivocabile e unitaria.  Nel tempo vi sono state numerose scuole ( qualcuno fa l’esempio dell’albero e dei suoi rami, dove l’albero è Buddha-Siddharta Gautama e i rami le varie scuole ), tutte provengono dall’origine-tradizione theravada e hanno in comune gli insegnamenti basilari ma per il resto si differenziano a seconda dell’epoca, del luogo e del contesto sociale.  Il buddhismo Theravada ( Hinayana – fa un continuo riferimento ai modelli originali, agli Insegnamenti dell’inizio ) è etico e non mistico; mentre il buddhismo mahayano ( la nuova scuola ) – a cui fanno riferimento i buddisti tibetani, i buddisti dello zen cinese e giapponese, i buddisti Nichiren Daishonin (conosciuti anche come “ Nam Myo Ho Renge Kyo ” ) si differenziano sull’interpretazione originale, sono più mistici, più speculativi.  La terza corrente del Buddhismo, detta anche Veicolo del Diamante ( o lamaismo ), si è allontanata dalle origini, insistendo proprio sui punti che il Buddha aveva maggiormente criticato: il ritualismo, la mistica e la magia.

 

Quali sono i principi del buddhismo ?

Si possono riassumere nelle TRE CARATTERISTICHE DELL’ESSERE ( impermanenza, sofferenza, non anima ), nelle QUATTRO NOBILI VERITA’ ( Dukkha,  inconsistenza della vita: sofferenza, dolore, gioia, imperfezione, limitazione;  Origine del Dukkha, l’esistenza del desiderio: causa di tutte le sofferenze; Cessazione del Dukkha, raggiungimento del nirvana; Nobile ottuplice via, realizzazione del nirvana: retto intendimento, retto pensiero, retta parola, retta azione, retti mezzi di mamtenimento, retto sforzo, retta presenza mentale e retta meditazione ).

La dottrina buddhista conduce ad una vita basata sulla tolleranza, sulla compasione e l’amore verso tutte le creature

Lo Zen

riprende vari spunti dalla scuola buddhista del Grande Veicolo ( Mahayana ), ma diventa una corrente ‘ eterodossa ‘.  Le sue poche regole sono:

– scrutare nella propria natura più profonda, al fine di trovare un barlume di buddhità.

– tale percorso deve partire da sè, è personale e non ci sono risposte facili, nemmeno da ricevere.

– bisogna liberarsi da tutti i condizionamenti ( la società, i modelli ), dai desideri, ed anche dalle sicurezze e dal proprio io.

– le parole rappresentano una sovrastruttura nei confronti della realtà autentica ( il linguaggio ci fa dintinguere vita/morte, bene/male, saggezza/ignoranza… E ci si convince dell’esistenza degli opposti: invece i due opposti esistono in quanto l’uno ha bisogno dell’altro, La vita in funzione della morte… ).

– si devono conoscere ma non si deve dipendere dalle Scritture ( I Sutra ).

– bisogna evitare la speculazione intellettuale.

– rendere centrale la pratica meditativa ( Zazen, meditazione seduta, Khin Hin, meditazione camminata ).

Lo Zen esalta la vita semplice e tutti i momenti del quotidiano possono essere Zen, sia se prepariamo il tè, se potiamo una pianta o cuciniamo.

 

La Pratica meditativa ( Zen ):  La postura è detta Za-Zen: si ottiene sedendosi in una stanza chiamata Zendo, su un apposito cuscino rotondo ( Zafu ) appoggiato su un tappetino ( Zabuton ): le gambe vanno incrociate nella posizione del loto, si porta il piede destro sulla coscia sinistra e viceversa, le ginocchia toccano terra, la schiena deve essere ben dritta, le spalle rilassate, la nuca piegata a trenta gradi, il mento rientrante; gli occhi semiaperti che fissano una parete bianca.  Raggiunta la giusta posizione del corpo si esegue il saluto ( Gassho ) congiungendo le mani all’altezza delle spalle, palmo contro palmo, ed effettuando un breve inchino. Le mani poi adottano una posizione ben definita, appoggiate in grembo, la destra accoglie la sinistra, palme verso l’alto con i pollici che si toccano senza tensione. La lingua deve toccare il palato, appena dietro i denti anteriori.

 

Respirazione: Concentrandosi sul proprio corpo si inizia a controllare la respirazione. Si inspira ed espira tramite il naso. La respirazione è lenta ed impercettibile, ci si può inizialmente concentrare sull’immagine della punta del naso per facilitare il raggiungimento del giusto ritmo, che prevede circa quattro respirazioni complete al minuto. L’inspirazione avviene naturalmente al seguito dell’espirazione con contrazione dell’addome provocando anche un salutare massaggio agli organi addominali.

 

L’ atteggiamento mentale: L’approccio nello Zen è uguale per tutti i praticanti ma infinito nelle sfumature.  Ogni Dojo ( luogo di pratica ) modifica nella meditazione l’approccio con la propria mente ( c’è chi lascia passare liberamente i pensieri, chi li espelle del tutto e chi ne conserva solo uno e lo accarezza ).  Zan Shin lo spirito vigile ( Zan: mantenere, Shin: spirito ) si applica in ogni attimo della vita, dal curare il proprio corpo, ai rapporti con le persone, a preparare un tè o un caffè.  E’ questo il modo per una completa fusione del corpo e della mente: dobbiammo essere sempre vigili quando svolgiamo un’azione.  Se guardo una montagna, provo ad essere una montagna, se guardo uno stagno, provo ad essere calmo ma anche pieno di vita come uno stagno può essere.  E ogni cosa che facciamo è qui e ora: essere interamente in quello che si fa, non vivere pensando a cose del passato o immergerci in sogni per il futuro.   Essere nel presente, sempre.

Ma non dobbiamo vivere lo Zen in maniera assoluta come spesso accade ai mistici orientali, che lentamente si chiudono in se stessi.  Dobbiamo sviluppare quelle parti dello Zen che ci permettono l’azione, un dinamismo e una presenza mentale utili alla vita quotidiana: qui ed ora. La meditazione in Za Zen deve essere quindi una fase iniziale e fondamentale della crescita e non una fase finale in cui rinchiudersi e costruire un proprio mondo statico.

 

Qualche difficoltà essenziale per un occidentale.

In Occidente la prospettiva è l’Essere ( Ego ) e l’accumulo ( oggetti, esperienze, cose ), nel buddhismo invece ci si richiama al vuoto.  Tutte le nostre costruzioni mentali sono dannose e inutili.

Per un occidentale è difficile percepire il vuoto, lo scambia per il nulla.  Nello Zen il vuoto è simbolo della totalità ed è la premessa della possibilità di nuove percezioni ( un esempio è lo zero, non ha quantità eppure è determinante per il sistema numerico )

Per un occidentale il pensiero è logica e dualismo ( bene/male, allegria/tristezza ); essere nello Zen è uscire dal cerchio della logica, uscire dalla confusione della mente dualistica.

Per un occidentale accostarsi ad una religione significa anche avere risposte confezionate che rassicurano e aiutano, nello zen nessuno ti può dare risposte devi essere tu – con la tua sensibilità, capacità – a trovarle dentro di te.  Perché ogni esperienza, ogni conoscenza del dolore è individuale.  E non c’è un Dio che ‘ risolve ‘.

Lo Zen è senz’altro agli antipodi della logica occidentale ( il dualismo ), non è fondato sull’analisi e sulla logica.  Non ha ‘ niente ‘ da insegnarci sulla via dell’analisi intellettuale,  anzi può apparire caotico e a volte contraddittorio.  Nello Zen non esistono dogmi e i testi sacri ‘ sono facoltativi ‘ ( Sutra del Loto, Dhammapada, Sutra del cuore della saggezza ): lo Zen non insegna nulla e i suoi frutti maturano nella mente di ognuno per rami diversi.  Lo Zen è libero da tutti gli ingombri ‘ religiosi ‘ e dogmatici.  E chi si avvicina a testi o a koan potrà sentirsi smarrito e confuso, lo zen tende a porsi al di sopra della logica, andare al di là del pensiero e delle convinzioni e andare in un luogo mentale dove non ci sono antitesi.

 

Una pillola di storia Zen.

La tradizione ci tramanda che il monaco buddhista Bodhidharma giunse in Cina dall’India per diffondere la dottrina nel VI secolo d.c., la scuola si chiamava Dhyana ( dal sanscrito: Meditazione ).  In Cina prende il nome di Ch’an e per un lungo periodo va pararallelo con il Tao – movimento filosofico-religioso – di Lao-tzu.   In quel secolo si formano due scuole chiamate Scuola del Sud ( con il Patriarca Hui-neng ) e Scuola del Nord ( con il Patriarca Shen-hsiu ).  La prima scuola prevalse sulla seconda per il totale rifiuto della speculazione intellettuale, e forse perché propugnava la dottrina dell’illuminazione istantanea, mentre la seconda era legata alla metafisica del pensiero del Buddhismo indiano e riteneva l’illuminazione un passaggio graduale.  Il Ch’an ( Zen ) giunse in Giappone grazie ai monaci Tendai di ritorno dai loro viaggi in Cina e poi dai monaci cinesi missionari.  Ma il Bduddismo Zen, come scuola autonoma ha avuto un processo sofferto a causa della difficoltà di rendersi autonomo dalla scuola Tendai.  Il primo lignaggio Zen fu di Saicho con la scuola Gozu che introdusse nel IX secolo gli insegnamenti del Buddhismo Ch’an-Scuola settentrionale, ricevendo sempre in Cina il lignaggio della scuola buddista ch’an.  Fu solo  nel XII secolo che il monaco tendai Eisai  studiò il Chán durante il suo secondo soggiorno in Cina, tornato in Giappone, ebbe difficoltà ad insegnare tali dottrine.  Un primo tentativo di una scuola autonoma Zen fu compiuto da un altro monaco tendai, Dainichi Nonin che inviati due discepoli in Cina, ottenne il lignaggio cinese dal maestro Deguang,  un tentativo finito piuttosto male – nel 1194, un decreto imperiale probirà le sue dottrine e distruggerà la sua scuola con i suoi monasteri -. Dopo vari tentativi, un altro monaco tendai Dogen(1200-1253), ottenne il certificato di ” illuminazione ” e il lignaggio di trasmissione della scuola Ch’an, tornato in Giappone nel 1225, consumò una frattura definitiva con la scuola Tendai e fondò la scuola giapponese Zen Soto.Dogen redigerà il Fukanzazengi ( testo sui principi fondamentali dello zazen ).

 

Se si vuole sapere qualcosa di più…

Nel VI secolo a.c. Buddha significava il risvegliato, colui che ha raggiunto il supremo livello di illumiazione.  Ci sono stati almeno dieci Buddha, ma oggi si fa riferimento al Buddha Shikyamuni (  Siddhattha Gotama, nato a Lumbini nel 566 a.c..,  è stato un monaco buddhista, filosofo, mistico e asceta indiano, fondatore del Buddhismo, una delle più importanti figure spirituali e religiose dell’Asia).  Di famiglia ricca e nobile del clan degli Śākya, da cui l’appellativo Śākyamuni ( l’asceta o il saggio della famiglia Śākya ). Figlio di un rāja, un capo eletto dai maggiorenti cui era affidata la responsabilità del governo, ricevette il nome di Siddharta ( colui che ha raggiunto lo scopo ) Gautama ( l’appartenente ai Gotra degli Śākya ).

Siddharta mostrò una tendenza contemplativa, mentre il padre l’avrebbe voluto guerriero e sovrano.  Il principe si sposò giovane, all’età di sedici anni, con la cugina Bhaddakaccānā con la quale ebbe un figlio, Rahula. Nonostante fosse stato allevato in mezzo alle comodità e al lusso principesco e fatto partecipa della vita di corte come erede al trono, a 29 anni esce dal palazzo reale paterno per la prima volta e la crudezza della vita lo lasciò attonito. Incontrando un vecchio, un malato e un morto comprese da subito che la sofferenza accomuna tutta l’umanità e che le ricchezze, la cultura, l’eroismo erano valori effimeri e caduchi. Capì che la sua era una prigione dorata e cominciò interiormente a rifiutare agi e ricchezze. Poco dopo essersi imbattuto in un monaco mendicante rinunciò alla famiglia, alla ricchezza e al potere per cercare la liberazione: complice il fedele auriga Chandaka, montò sul suo cavallo Kantaka e abbandonò la famiglia ed il reame per darsi alla vita ascetica. Fece voto di povertà e compì un percorso tormentato d’introspezione critica. La tradizione vuole ch’egli abbia intrapreso la ricerca dell’illuminazione nel 537 a.c., e l’abbia ricevuta a all’età di 35 anni, nel 530 a.c., dopo sette settimane di profondo raccoglimento ininterrotto, in una notte di luna piena del mese di maggio, seduto sotto un albero di fico a Bodh Gaya a gambe incrociate nella posizione de loto, a lui si spalancò l’illuminazione perfetta: egli meditò una notte intera fino a raggiungere i Nirvana.

Buddha Sakhiamuni con la meditazione raggiunse la conoscenza delle Quattro nobili verità e dell’Ottuplice sentiero e visse a quel punto la Grande Illuminazione, che lo liberò per sempre dal ciclo della rinascita.   Doveva diffondere la dottrina e doveva conservarla per sé, essendo ” difficile da comprendere, al di là della ragione “ ?  Brahma giunse di fronte al Buddha e inginocchiatosi lo implorò a diffondere la sua dottrina “per aprire i cancelli dell’immortalità” e permettere al mondo di udire il Dhamma.

Negli anni successivi, Buddha si spostò lungo la  pianura gangeticapredicando ai laici, accogliendo nuovi monaci e fondando comunità monastiche che accoglievano chiunque, indipendentemente dalla condizione sociale e dalla casta di appartenenza, fondando infine il primo ordine monastico mendicante femminile della storia. A condizione che l’adepto accettasse le regole della nuova dottrina, ognuno era ammesso nel sangha.

Siddharta Gautama morì a Kusingara, in India, a ottant’anni circondato dai suoi discepoli, tra i quali l’affezionato attendente prediletto Ananda, al quale lasciò le sue ultime disposizioni.

 

Un Koan

Una volta il Buddha entrò in un villaggio. Era l’alba e il sole stava per sorgere. Un uomo venne da lui e gli disse: «Sono un ateo, non credo in Dio. Tu che ne pensi? Dio esiste?».

Il Buddha disse: «Solo Dio è. Non esiste altro che Dio, ovunque».

L’uomo rispose: «Ma mi era stato detto che eri un ateo!».

«Devi aver sentito male» rispose il Buddha. «Io sono un teista. Adesso lo hai sentito dalle mie stesse labbra. Io sono il più grande teista mai esistito. Dio c’è, e non esiste altro all’infuori di lui.» L’uomo rimase immobile sotto l’albero con un senso di disagio, mentre il Buddha continuò per la sua strada.

A mezzogiorno arrivò un altro uomo che disse: «Sono un teista. Sono un fermo credente in Dio. Sono un nemico di tutti gli atei. Sono venuto a chiederti: “Cosa pensi dell’esistenza di Dio?”».

Il Buddha disse: «Dio? Non esiste, né potrà mai essercene uno. Non c’è alcun Dio, in modo assoluto».

L’uomo non riusciva a credere alle sue orecchie: «Cosa stai dicendo? Avevo sentito dire che in questo villaggio era arrivato un uomo di religione. Ecco perché ero venuto a chiedere se Dio esiste. Ma tu stai dicendo il contrario».

Il Buddha rispose: «Un uomo di religione? Un credente in Dio? Io sono il più grande ateo mai esistito».

L’uomo rimase immobile, profondamente confuso. Possiamo comprendere la sua confusione.
Ma Ananda, un discepolo del Buddha, era in un’incertezza ben più grande: aveva ascoltato entrambe le conversazioni. Si sentì a disagio; non riusciva a capire che cosa stesse succedendo. Al mattino andava tutto bene, ma al pomeriggio erano cominciati i problemi. «Cos’è successo al Buddha?» si chiedeva Ananda. «Al mattino ha detto di essere il più grande teista, e al pomeriggio il più grande ateo». Si decise a chiedere chiarimenti al Buddha quella sera, quando sarebbe stato solo. Ma prima di allora Ananda ebbe un’altra sorpresa.

Quando giunse la sera un’altra persona venne dal Buddha e disse: «Non capisco se Dio esista o meno». Doveva essere un agnostico, uno che afferma di non sapere se Dio esista o meno. Nessuno lo sa, e nessuno potrà mai saperlo. Per cui disse: «Non so se Dio esiste oppure no. Che ne dici? Cosa ne pensi?».

Il Buddha rispose: «Se non lo sai tu, non lo so nemmeno io. E sarebbe meglio se restassimo entrambi in silenzio».

Udendo la risposta del Buddha, anche quest’uomo rimase confuso. Disse: «Avevo sentito dire che eri un illuminato, per cui pensavo che tu sapessi».

Il Buddha disse: «Devi aver sentito male. Sono un uomo completamente ignorante. Che conoscenze posso avere».

Prova a immaginare lo stato d’animo di Ananda. Mettiti nei suoi panni: riesci a vedere la sua difficoltà? Quando si fece notte e tutti se ne furono andati, Ananda toccò i piedi del Buddha e disse: «Stai cercando di uccidermi? Cosa stai facendo? Ho quasi perso la ragione! Non sono mai stato tanto sconvolto come oggi. Cosa significano queste risposte? Parli sul serio? Al mattino hai detto una cosa, di pomeriggio un’altra, e alla sera hai dato una risposta completamente diversa alla stessa domanda».

Il Buddha disse: «Non ho dato queste risposte a te. Ho dato le mie risposte alle persone che me le chiedevano. Perché le hai ascoltate? Pensi sia giusto ascoltare quello che dico agli altri?».

Ananda disse: «Adesso esageri veramente! Come avrei potuto non sentire? Ero presente, stavo là, e le mie orecchie non erano ostruite! E come potrei non ascoltare mentre parli? Amo sentirti parlare, a chiunque tu parli».

II Buddha disse: «Ma perché sei così sconvolto? Io non rispondevo a te!».

Ananda disse: «Forse no, ma io sono in grave difficoltà. Per favore rispondimi ora: qual è la verità? Perché hai dato tre risposte diverse?».

Il Buddha spiegò: «Dovevo portare quei tre uomini a un punto di equilibrio. L’uomo che è arrivato al mattino era un ateo. Essendo solo ateo era incompleto, perché la vita è fatta di opposti».

Tieni questo a mente: una persona autenticamente religiosa è entrambe le cose; ateo da una parte e credente dall’altra. La sua vita contiene entrambi gli aspetti, ma egli li armonizza. La religione consiste proprio in quell’armonia. E chi è solo un credente in Dio non è una persona religiosamente matura. Non ha ancora raggiunto un equilibrio nella sua vita.

Per cui il Buddha disse: «Dovevo portare equilibrio nella sua vita. Una parte di lui era diventata molto pesante, per cui ho dovuto mettere delle rocce sull’altro piatto della bilancia. Inoltre volevo anche destrutturarlo, perché in un certo senso era diventato troppo sicuro che Dio non esiste. La sua convinzione andava scossa, perché chi diventa certo, muore. Il viaggio deve andare avanti; la ricerca deve continuare.

L’uomo che è venuto nel pomeriggio era un credente. Ho dovuto dirgli che ero un ateo perché anche lui era troppo parziale, aveva perso il suo equilibrio. La vita è equilibrio. Chi raggiunge questo equilibrio raggiunge la verità».

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