Si hanno in Italia casi frequentissimi, quotidiani, specie in Italia, di sregolatezza senza genio, programmata a tavolino, calcolata in modo furbetto. In Alberto Arbasino, la congiunzione di estri e di astri è naturale, non si neutralizza mai in rappresaglie fatte di piccinerie, meschinità, bassezze firmate – miserie tipiche del nostro Establishment culturale.

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“Fratelli d’Italia”, “Fantasmi italiani”, “Un Paese senza”, “Trans-Pacific Express”, gli articoli su “la Repubblica”, sono stati i miei modelli letterari. L’ho seguito, ammirato, copiato come uno scudiero segue – e pedissequamente mima – il suo cavaliere errante. Arbasino è un cavaliere errante sulla palude italiana, in possesso di una cultura acrobatica che, balzando da un cavallo all’altro, dalla letteratura alla pittura, dal teatro al cinema, percorre territori estrosi e capricciosi, cattura l’improvvisazione con i furori di una mitragliatrice giocattolo. Ecco: l’amore per la parola, la maestria nell’uso della parola; che è sempre sorprendente: piena, intensa, ironica, mai banale.

Come Flaubert classificava tutte le somaraggini della sue epoca, Arbasino ha viaggiato attraverso la Sublime Stronzaggine italiana, con le sue costanti (“conformismi e leccaculismi”) e le ultime mode (“la bella volgarità”). Attenzione però: non è mai moralisteggiante, col ditino alzato e la puzza sotto il naso. Un artista libero e spontaneo come la verdura, galeotto e crudele come una fiaba scritta da uno Swift. Quindi, senza farti soffrire, a partire da quel capolavoro del secondo ‘900, “Fratelli d’Italia”, ha soffritto il nostro Paese, i tempi, i costumi, le manie, i i tic e gli chic, i vizi e i gusti della bella e brutta gente e di quella così così.

Alberto Arbasino  

Seduto tra Giovenale e Marziale, ironico nella molteplicità del gioco linguistico, lo scrittore di Voghera è l’ultimo dei satiri, prima delle omogeneizzazioni a livello scadente e demente. Per l’erudizione vertiginosa, il carattere sarcastico, la lotta contro la cialtroneria in qualunque sede e aspetto… E’ la mirabolante attitudine di un cavaliere errante tra Vaticano dello Spirito e il Vesuvio della carne, in possesso di una cultura acrobatica che, balzando da un cavallo all’altro, dalla letteratura alla pittura, dalla politica al cinema, cattura l’indenti-Kitsch tricolore con i furori di una mitragliatrice giocattolo.

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Per me, ogni incontro con Arbasino è stato un incontro con l’intelligenza. Quando penso a quale livello ignobile sono arrivati gli intellettuali che scrivono sui quotidiani o sui settimanali, quando penso alla loro mancanza di esperienza culturale autentica, alla mancanza di viaggi e di visite ai musei e ai luoghi di cultura, Arbasino per me era una sorta di miracolo. Gli devo quasi tutto: idee, forma, stile. Penso che il massimo complimento che qualcuno può farmi, sia di dirmi che sono stato allattato dall’arte di Arbasino.

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