È morto oggi, in ospedale a Firenze, Sergio Staino. Giornalista, vignettista, disegnatore, «papà» di Bobo ed ex direttore dell’Unità, aveva 83 anni; era ricoverato da qualche giorno, ma era malato da tempo.

Ci mancherà molto Bobo, antieroe ingenuo e pasticcione di una sinistra disposta a prendere in giro sé stessa. Il suo creatore Sergio Staino è scomparso oggi all’età di 83 anni, lasciando un grande vuoto nel mondo della satira e il ricordo di tanti sorrisi — a volte anche belle risate — che era riuscito a strappare con le sue strisce e vignette in oltre quarant’anni di attività.

Anche grazie a Staino il Pci negli anni Ottanta aveva cominciato a disfarsi del sussiego e della presunzione di superiorità che aveva a lungo nutrito. Sulle pagine del quotidiano ufficiale, «l’Unità», Bobo aveva portato quella vena d’irriverenza che alla base del partito circolava già da molto tempo, sia pure nascosta sotto la cappa dell’unanimismo che non ammette dubbi. Proprio perché da giovane aveva vissuto una decennale esperienza di militante nella sinistra più rigidamente settaria, quella dei marxisti-leninisti ammiratori di Mao Zedong, Staino aveva maturato una sensibilità antidogmatica che si riversava negli infiniti tentennamenti di Bobo e che lo aveva spinto a prendersi gioco anche dei segretari del Pci, fino a disegnare nudo il malcapitato Alessandro Natta. Più tardi sarebbe addirittura diventato direttore dell’«Unità», sia pure per un periodo piuttosto breve tra il 2016 e il 2017.

Nato a Piancastagnaio, in provincia di Siena, l’8 giugno 1940, Staino era figlio di un carabiniere. Portato sin da ragazzo per il disegno, laureato in architettura, aveva lavorato per lungo tempo come insegnante di educazione tecnica e si era stabilito a Scandicci, non lontano da Firenze, nel cuore della Toscana rossa. Al mondo del fumetto era approdato relativamente tardi, perché l’anno di nascita di Bobo è il 1979, quando il simpatico personaggio autoironico aveva esordito sulle pagine della rivista «Linus», diretta all’epoca da Oreste Del Buono, riscuotendo subito un notevole successo. Iscritto al Pci, calvo, occhialuto, barbuto e piuttosto pingue, Bobo era una sorta di alter ego dell’autore, ne rifletteva le incertezze e la profonda sensibilità umana.

Nel 1982 Staino era diventato il vignettista dell’«Unità». E i lettori del giornale comunista, abituati alla satira tagliente e faziosa del corsivista Fortebraccio, avevano presto acquisito dimestichezza con l’assai più pensoso Bobo e con i personaggi di contorno: la moglie Bibi, i figli Ilaria e Michele, il compagno brontolone Molotov, ancora intriso di mentalità stalinista.

Con la sua satira garbata — a volte malinconica, a volte giocosa, mai volgare — Staino era venuto incontro a una nuova generazione di comunisti, più aperta e propensa a porsi interrogativi al di fuori dei consueti canoni ideologici.

Il suo lavoro tuttavia era molto apprezzato anche al di fuori del partito. Umberto Eco ebbe a dire che uno studioso del futuro, ignaro delle vicende italiane, avrebbe trovato nelle strisce di Bobo un’ottima fonte per comprendere i cambiamenti avvenuti nella nostra società a partire dagli anni Ottanta. Nel 1984 Staino aveva vinto meritatamente il premio della Satira di Forte dei Marmi. E nel 1986 era nato sotto la sua direzione «Tango» supplemento satirico dell’«Unità» al quale avevano collaborato Altan, ElleKappa, Riccardo Mannelli, Michele Serra, David Riondino, Gino e Michele, Francesco Guccini.

Qui in seguito a un attacco di Forattini, che lo aveva accusato di non avere il coraggio di rivolgere i suoi strali verso i dirigenti comunisti, Staino aveva disegnato in prima pagina nel luglio 1986 Natta nudo e intento a ballare seguendo la musica di un’orchestrina diretta da Giulio Andreotti e Bettino Craxi. Il caso aveva fatto rumore e molti nel Pci non avevano preso bene quella trovata, ma indubbiamente fu una doccia fredda salutare che Staino somministrò al partito con notevole coraggio.

Nell’ottobre 1988, dopo alterne vicissitudini, «Tango» aveva chiuso e al suo posto era nato «Cuore», diretto da Serra, al quale Staino aveva partecipato per poi distaccarsene. Non gli piacevano certi eccessi polemici dei suoi ex compagni di viaggio: pur rivendicando sempre la sua identità di sinistra, prima nel Pds poi nei Ds e infine nel Pd, non aveva remore nel riconoscere il fallimento del comunismo e guardava alle radici riformiste del socialismo, anche se, bisogna aggiungere, Bettino Craxi non gli era mai piaciuto. Tanto meno Silvio Berlusconi.

Staino era comunque distante anni luce da ogni visione manichea: aveva accolto piuttosto male la candidatura dell’ex pubblico ministero Antonio Di Pietro per l’Ulivo nel Mugello; inoltre avversava il populismo, in particolare nella sua versione grillina, che giudicava violenta e pericolosa. Semmai, benché dichiaratamente ateo, Staino apprezzava alcuni settori del mondo cattolico e guardava con estrema simpatia alla figura di Gesù, che considerava il primo socialista.

Aveva anche collaborato per quasi un anno, nel 2018, con il quotidiano dei vescovi, «Avvenire», pubblicando fumetti poi raccolti nel volume Hello Jesus (Giunti, 2019). Da ricordare anche la sua attività come sceneggiatore in due film: Cavalli si nasce (1988) e Non chiamarmi Omar (1992).

Tra i tanti libri pubblicati, merita una menzione Quel signore di Scandicci (Rizzoli Lizard, 2020) una sorta di summa delle vicissitudini di Bobo. Sin dal 1977 Staino aveva accusato gravi problemi alla vista, causati da una progressiva degenerazione retinica, che con il tempo lo avevano reso quasi cieco. Aveva affrontato la malattia con estremo coraggio, assistito dalla moglie Bruna, e aveva continuato a lavorare fino all’ultimo, con l’aiuto del computer e con notevole fatica. Dal 2017 lavorava per «La Stampa», ma non aveva perso la speranza di vedere rivivere «l’Unità». Con il solito spirito equanime, riconosceva doti significative anche a Giorgia Meloni. Ma guardava alla vita pubblica con crescente perplessità: «Oggi — aveva detto in un’intervista — c’è meno bisogno di satira. Oggi i politici si dissacrano da sé».

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