Nel 1971 cadde l’ascia: la Metro Goldwyn Meyer non avrebbe prodotto Napoleon di Stanley Kubrick. A 43 anni, il regista di Orizzonti di gloria, Lolita, Arancia meccanica, vede deluse le speranze di realizzare quello che pensava – prima ancora di girarlo – il suo capolavoro assoluto. Vi aveva lavorato per quattro anni, instancabilmente, con l’ansia di rappresentare un immane affresco storico. Bonaparte: un genio militare che la Storia non aveva visto dai tempi di Giulio Cesare, l’estremismo di ogni ambizione cinematografica.

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Aveva detto, cinquant’anni fa, in una intervista: “Napoleone mi affascina. La sua vita è stata descritta come un poema epico d’azione. La sua vita sessuale è degna di Arthur Schnitzler. Fu uno di quei rari uomini che muovono la Storia e foggiano il destino dei loro tempi e delle generazioni a venire – in senso stretto, il nostro mondo è il risultato dell’epica di Napoleone, così come la mappa politica e geografica dell’Europa postbellica è il risultato della Seconda Guerra Mondiale”. “Napoleone aveva fallito per vanità ed egocentrismo: Stanley aveva paura di cadere nello stesso errore, ammirando come la sua mente, razionale, venisse sopraffatta dall’emozione”, ha scritto Michel Clement, autore dello studio biografico Kubrick.

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Aveva finito la sceneggiatura il 29 settembre del 1969. 186 pagine di tradimenti, colpi di scena, “erotismo assoluto” (ad esempio quando narra il rapporto tra Giuseppina di Beauharnais e Hippolyte Charles). Questa versione della sceneggiatura – che sarebbe stata ritoccata – era l’esito di due anni di ricerche titaniche, durante le quali Kubrick aveva setacciato archivi e raccolto una bibliografia di circa 500 volumi. Maniaco dei dettagli biografici, Kubrick arriva al punto di analizzare i bollettini metereologici dell’epoca, studia le abitudini alimentari del sovrano, si fa spiegare quali chiodi servivano a ferrare i cavalli sul fronte russo… Ordina ai suoi assistenti – uno di questi è Andrew Birkin, il fratello di Jane – di fare sopralluoghi in tutta Europa. Come consulenti storici furono assunti David G. Chandler, esperto di battaglie napoleoniche, e Felix Markham, accademico di Oxford.

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L’impresa, descritta da molti come “folle”, permette al regista di riunire circa 17mila immagini che coprono il periodo tra 1769 e 1830. Anche in questo si esprime il genio di Kubrick. Un anno dopo aver profetizzato l’intelligenza artificiale in 2001: Odissea nello spazio, il regista raccoglie un archivio senza precedenti – costumi, scene di vita quotidiana, personaggi, mobili – su un’epoca specifica: una manna di documenti che racconta del duro lavoro e di una insaziabile curiosità. Napoleon ha al centro la conoscenza enciclopedica del suo autore. Kubrick pianifica le scene con l’accuratezza con cui il suo glorioso soggetto preparava le battaglie. Organizzazione militare e precisione millimetrica preludono a quello che sarà il suo ‘vero’ film in costume, Barry Lyndon, che uscirà nel 1975. “Quel film è, anche, il risultato della frustrazione per non aver realizzato Napoleon. Con Barry Lyndon, Kubrick ricrea il passato, riproduce i dettagli del tempo, illumina le scene con le candele, immerge lo spettatore nel Settecento” (Michel Clement).

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Kubrick voleva ricostruire l’epopea napoleonica nei luoghi autentici: Europa dell’Est, Francia, Italia. Ha in programma di ingaggiare fino a 50mila comparse per le grandi battaglie. Fa qualche prova in costume lui stesso, con le figlie, scattando alcune fotografie nel giardino della sua casa inglese. La ricerca di denaro lo porta a fare conti minuziosi, per destreggiarsi con enormi somme di denaro. Al momento della pre-produzione si tratta per diversi milioni di dollari. Di fronte ai finanziatori si muove – al culmine dell’umiliazione – giustificando una bolletta di 350 dollari o la tariffa giornaliera di una comparsa (2 dollari in Romania, 5 in Jugoslavia). Insomma, Napoleon è la campagna di Russia di Kubrick.

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Al di là di nomi presto squalificati – Marlon Brando – o troppo acerbi – Jack Nicholson – il regista valuta David Hemmings (Blow-Up), Oskar Werner (Jules e Jim, Fahrenheit 451) e Ian Holm (più tardi in Alien) per il ruolo del condottiero. Nel 1968 riteneva che soltanto Audrey Hepburn avrebbe potuto essere Giuseppina. L’attrice, però, voleva sospendere la sua carriera cinematografica e declinò la proposta. Terminata la preparazione del film, il rapporto con la Metro Goldwyn Meyer fu una specie di partita a poker. I dirigenti della MGM vedevano con scetticismo Napoleon – la stessa diffidenza che aveva inaugurato la lavorazione di 2001: Odissea nello spazio. La sceneggiatura era immane, l’ipotesi di un film in due parti era fuori discussione. L’uscita, nel 1970, di Waterloo, firmato da Sergej Bondarčuk, prodotto da Dino De Laurentiis, con Rod Steiger nella parte di Napoleone, mise fine al progetto. Il film, comunque, ha continuato a suggestionare l’immaginario dei curiosi. L’anno scorso, ragionando intorno alla mostra “Stanley Kubrick: The Exhibition” al Design Museum di Londra, la BBC ha partorito uno studio dal titolo Was Napoleon the greatest film never made?

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